Come passare dal dominio della "subcultura rossa" al disastro
I motivi della sconfitta della sinistra nelle regioni rosse spiegati dal Cattaneo. E da qualche nota grillina
Roma. A pesare, sul bilancio negativo di queste amministrative, non c’è solo la sconfitta di Genova, città storicamente governata dalla sinistra, o quella dell’Aquila, dove al primo turno il centrosinistra era in vantaggio di 11 punti. C’è anche il risultato nelle cosiddette “regioni rosse”: Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria. In Emilia il Pd ha perso tutti e cinque i ballottaggi. A Parma ha vinto Federico Pizzarotti, ex M5s, mentre a Budrio, dove il centrosinistra governava dal Dopoguerra, il candidato civico Maurizio Mazzanti ha sconfitto il sindaco uscente Giulio Pierini. Negli altri tre comuni al voto invece è stato il centrodestra a battere il Pd: a Piacenza, Vignola (finita nelle mani della Lega) e Riccione.
Anche in Toscana le cose non sono andate bene. Il centrosinistra ha perduto Pistoia, dove ha sempre governato la filiera corta a chilometro zero Pci-Pds-Ds-Pd. Il sindaco uscente Samuele Bertinelli è stato sconfitto da Alessandro Tomasi, candidato del centrodestra in quota Fratelli d’Italia, laddove si dimostra che il centrodestra toscano a guida Stefano Mugnai (Forza Italia, capogruppo in Regione) e Giovanni Donzelli (coordinatore nazionale dell’esecutivo di Fd’I) è molto competitivo, specie in vista delle amministrative dell’anno prossimo di Siena e Pisa. A Carrara invece ha vinto il M5s: Francesco De Pasquale ha battuto Andrea Zanetti del centrosinistra. Pd e alleati hanno invece tenuto Lucca, città tradizionalmente “bianca”, dove il sindaco uscente Alessandro Tambellini ha vinto per appena 361 voti. Le sconfitte di Carrara e Pistoia seguono quelle di Livorno (2014), Arezzo (2015), Grosseto (2016). Per non parlare di quella di Sesto Fiorentino, “Sestograd”, l’anno scorso, minore ma politicamente significativa. A Carrara, dice uno studio dei flussi elettorali dell’Istituto Cattaneo, il candidato del M5s ha incrementato il vantaggio che aveva al primo turno su quello del centrosinistra “grazie alla capacità di rubare voti direttamente all’avversario (il 2,8 per cento del corpo elettorale compie il tragitto da Zanetti a De Pasquale) e alla maggiore attrazione che De Pasquale esercita sugli elettorati dei candidati esclusi”. A Pistoia, invece, Tomasi partiva in svantaggio ma è riuscito a invertire i rapporti di forza.
Secondo il Cattaneo, “il 2,2 per cento del corpo elettorale ha compiuto il salto da Bertinelli a Tomasi; l’1,6 per cento del corpo elettorale è passato da Bertinelli all’astensione; Tomasi ha esercitato una maggiore attrazione rispetto a Bertinelli sugli elettori che due domeniche fa” aveva scelto gli altri candidati. Insomma, il centrosinistra ha dimostrato di avere un problema di competitività. Lo dimostrano i numeri: se prendiamo gli ultimi tre anni, dal 2015 in poi sono andati al voto 67 comuni. Alla vigilia del voto del 2015 centrosinistra e Pd amministravano 56 comuni, mentre Forza Italia con il centrodestra o civiche d’area appena 9 comuni. Oggi le cose sono cambiate: il centrosinistra-Pd amministra 36 comuni e Forza Italia col centrodestra comprese le civiche d’area governa invece in 23 comuni. “Una sconfitta grave e diffusa. Il voto è stato locale, ma la responsabilità del risultato è nazionale: è tutta sulle spalle del partito renziano”, dice Enrico Rossi, come se il presidente della Toscana non fosse stato un esponente di primo piano del Pd fino alla scissione.
Nelle Marche, il Pd ha perso a Fabriano, conquistata dal M5s, e a Civitanova, che va al centrodestra. Secondo Lorenzo Castellani, a Fabriano “c’è tutto il film di ‘come si diventa grillini’. Uno dei Comuni più industrializzati e ricchi d’Italia su cui si abbattono in 15 anni: delocalizzazione, deindustrializzazione, disoccupazione, crisi bancaria, distorsioni del welfare, asfissia e immobilismo della classe politica. Così dal dominio della sinistra democristiana si vira in massa, da sinistra e destra, verso Grillo”. Anche in Umbria, dove c’era un solo ballottaggio, il Pd ha perso (a Todi). Insomma, osserva il Cattaneo, “le regioni di quella che un tempo si sarebbe definita ‘subcultura rossa’ difficilmente possono continuare ad essere considerate il punto di riferimento indiscusso, per non dire il modello, di una partecipazione politica ed elettorale ampia, diffusa e stabile nel tempo”. Governare stanca.