Il dovere di governare l'accoglienza
Bene bloccare i porti, ma la capacità di gestire i migranti non è solo un numero
Governare l’accoglienza è un conto, essere governati dall’accoglienza è un altro ed è questo il vero limite impossibile da sostenere di fronte al quale ci troviamo oggi. A seguito di 48 ore complicate durante le quali le coste italiane hanno accolto circa 12 mila migranti, il governo Gentiloni ha dato mandato al rappresentante presso la Ue, l’ambasciatore Maurizio Massari, di porre al commissario per le Migrazioni Dimitris Avramopoulos il tema degli sbarchi nel nostro paese. Se porre il tema significa lanciare semplicemente un grido d’allarme per coinvolgere gli stati recalcitranti d’Europa nella redistribuzione dei migranti (due anni fa l’Italia ottenne dal Consiglio europeo un impegno per redistribuire in due anni 40 mila migranti arrivati sulle coste italiane, ma dopo due anni le ricollocazioni sono state pari a 7.282 casi) la mossa rischia di rientrare nella categoria degli spot e delle occasioni perse. Se porre il tema significa invece rompere il tabù dell’accoglienza indiscriminata e a tutti i costi ci potremmo trovare di fronte a una svolta importante in tema di governo dell’immigrazione.
La capacità di accoglienza stimata dall’Italia per il 2017, frutto di un accordo con l’Anci, è pari a 200 mila migranti ma allo stato attuale il numero di migranti accolti nelle strutture italiane è arrivato a quota 180 mila e se il ritmo degli ultimi giorni (2.691 sbarchi il 24 giugno, 1.782 il 25 giugno e 3.278 il 26) dovesse essere rispettato per tutta l’estate, la quota dei 200 mila verrà superata con cinque mesi di anticipo sulle previsioni di inizio anno. A oggi, la soluzione ipotizzata dal governo per fare pressione sull’Europa è quella di negare l’approdo nei porti italiani alle navi che effettuano salvataggi dei migranti e che battono una bandiera diversa da quella del nostro paese. Al momento, le regole delle missioni Triton e Sophia – che possono essere modificate solo all’unanimità dagli stati membri partecipanti – prevedono che i migranti salvati da navi di altri stati membri debbano essere fatti sbarcare nei porti d’Italia e in attesa di cambiare quelle regole bloccare i porti alle navi è forse una soluzione non sufficiente ma comunque necessaria per provare a governare l’immigrazione. Il punto però è che non basta concentrarsi sui numeri per capire cosa significa gestire l’accoglienza. In assoluto, rispetto allo scorso anno, l’aumento di migranti in fondo non è spaventoso (più 14 per cento) e messo a confronto con il numero di profughi presenti in altri stati (il Libano ha un milione di profughi su 4 milioni di abitanti) può far sorridere che un paese di quasi 60 milioni di persone non riesca a gestire 200 mila migranti. Il problema dell’Italia non è solo la capacità, in senso numerico, di gestire le politiche di immigrazione ma è piuttosto la capacità di gestire quotidianamente il flusso dei migranti, di esaminare nei tempi giusti le richieste d’asilo, di avere il coraggio di espellere chi non deve restare nel nostro paese e di combattere fino in fondo quell’area di clandestinità che nel nostro paese cresce al ritmo di 100 mila unità all’anno. Bloccare un porto può aiutare l’Italia a farsi rispettare in Europa. Ma l’immigrazione non si governa con uno spot, o un hotspot, si governa nel quotidiano. E su questo l’esecutivo, compreso il bravo ministro Marco Minniti, dovrà dare prova di saper governare l’accoglienza senza farsi governare dai neo moralisti dell’immigrazione senza limiti e senza confini.