Silvio Berlusconi ospite a "Porta a Porta" (foto LaPresse)

Il candidato premier non conta nulla

Giuliano Ferrara

Inutile litigare, la realtà oggi esclude l’elezione maggioritaria del capo del governo. Si vada a votare e poi si vedrà. L’unica cosa importante è che babbei, asini, depensanti e scongiuntivati restino irrilevanti

La rissa sul candidato premier alle prossime politiche è surreale. Allo stato delle cose, e lo stato delle cose è la dura scorza della politica, si presenteranno delle liste di partito, in regime di legge elettorale proporzionale, con un improbabilissimo premio solo alla Camera a chi superi il 40 per cento dei voti (bum!). Non ha funzionato un accordo “monstre” tra tutti i partiti per il sistema alla tedesca, cosiddetto, e figuriamoci di qui al febbraio 2018 che altro mai potrebbe funzionare in senso maggioritario. Ballottaggio maggioritario e monocameralismo hanno convissuto fino al 4 dicembre, e sono defunti dopo quella data per volontà del popolo italiano sovrano e assai confuso nella sua sovranità. Si può recriminare, sperare, ipotizzare, ma la realtà è quella, ed è una realtà che esclude in linea di principio l’elezione maggioritaria del capo del governo, che era invece insita nelle leggi dette Mattarellum e Porcellum, superate dalle normative approntate, abrogando la seconda, dalla Corte costituzionale, ritoccabili forse, ma secondo una prospettiva realista non riformabili.

   

Berlusconi aveva incarnato il maggioritario, rendendolo politicamente credibile con il suo federare il centro destra. Oggi è l’unico, sia perché è diventato realisticamente proporzionalista, sia perché non è in gioco personalmente come candidato, salvo imprevisti improbabili, a parlare di programmi (flat tax) e di coalizioni parlamentari che si costruiscono appunto in Parlamento, e dunque niente “delfini” e niente candidati premier. Invece nel chiacchiericcio mediatico e politico, tra inviti a Renzi perché sgombri il campo dalla sua “candidatura a premier” e la riaffermazione del primato di governo del segretario del partito, una eventualità allo stato delle cose incongrua che gira fra i renziani e forse è coccolata dallo stesso Renzi, prevale uno schema di gioco che non corrisponde alle regole del gioco. Come giocare a poker con sei assi a disposizione. No, ce ne sono solo quattro, mi spiace.

    

È vero che in Germania, con il sistema tedesco e la forza di una tradizione, chi arriva primo designa il Cancelliere e il leader che chiede un mandato per governare lo si conosce prima del voto. Ma è un sistema fondamentalmente bipartitico, strutturato a modo suo, e comunque va ricordato che il compianto Helmut Kohl divenne Cancelliere a metà legislatura, la prima volta, per un cambio di alleanze deciso dal Partito liberale che mollò Helmut Schmidt al Bundestag. Noi siamo un sistema postpartitico, frammentato assai più di quello tedesco, ed è chiaro che il capo del governo italiano, dopo le elezioni dell’anno prossimo, sarà il risultato di un negoziato politico in Parlamento, in cui certo conterà il peso dei voti popolari, ma assai di più e in modo decisivo, alla fine, la capacità di coalizzare una maggioranza parlamentare intorno a un nome, a una formula e a un programma. Niente impedisce che uno, un leader, si dia il tono del candidato a Palazzo Chigi, ma darsi un tono è diverso da essere capo di una coalizione che per legge diventa presidente del Consiglio (come era con il Porcellum).

  

Quindi è tutto cambiato, ed è appunto surreale che non si facciano i conti con questo cambiamento. Dal punto di vista della governabilità il nostro regime postpartitico e proporzionale è assai simile nelle procedure di selezione di un governo e del suo capo a quello partitico della cosiddetta Prima Repubblica. Con la differenza che non c’è più la Guerra fredda, non c’è più l’arco costituzionale, non c’è più la conventio ad excludendum verso i comunisti e i fascisti, che non ci sono più nemmeno loro. Per avere una buona governabilità non possiamo certo augurarci un ritorno di quelle condizioni che la permisero; e nonostante De Gasperi, l’eterno Andreotti, la giostra dei presidenti del Consiglio uno all’anno, il peso delle correnti democristiane nella scelta del premier, nonostante il peculiare funzionamento di quel regime in quelle circostanze storiche, si può alla fine parlare di una buona governabilità, appunto, sebbene con un certo senso dell’eufemismo.

 

Si dice allora. Ma è difficile che si formi una maggioranza, a sentire le intenzioni di voto sondate e sulla base delle posizioni di partenza dei partiti. Bè, si vedrà. Perfino a Londra il maggioritario ha costretto i conservatori a un patto precario per garantirsi i voti per governare. E in Spagna hanno votato tre volte in poco più di un anno, e ancora adesso il governo di minoranza si regge su una specie di patto di non belligeranza. Intanto la Spagna, votando e rivoltando, è andata benone nella sua economia e nel suo sviluppo sociale dopo anni di crisi bestiale. Consoliamoci dunque con il realismo e smettiamola di dire sciocchezze sul candidato premier e sull’ingovernabilità. L’unica cosa importante, e anche qui Berlusconi si colloca oggi all’avanguardia della responsabile denuncia, è che babbei, asini, depensanti e scongiuntivati restino consegnati all’irrilevanza dello sberleffo.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.