Renzi non ha stampelle né veri avversari, ma una nebbia di sfiducia lo avvolge
Paradossale che, a 42 anni, il segretario Pd abbia già un problema di obsolescenza. Ecco perché nella direzione di domani serve una scossa, una sveglia
Il senso e le attese per la direzione Pd di domani sono tutte in una frase di un deputato, non-antirenziano anche se, incidentalmente, fra quelli a rischio di non ricandidatura per anzianità di mandato: “Il segretario non vuole parlare di coalizioni e schieramenti? Bene, ha ragione. Allora però tiri fuori qualcosa di nuovo e di forte sul futuro del paese, qualcosa di più della rivendicazione di quanto di buono ha fatto lui a Palazzo Chigi. Perché ormai se ne sono accorti tutti, anche chi lo sostiene, che Renzi per il futuro sta riproponendo solo se stesso. E francamente non basta”.
Ad appena due mesi dalla reinvestitura delle primarie, il principale avversario di Renzi non ha il nome e il volto di nessuno dei suoi critici o contestatori: è invece nell’inafferrabile nebbia di sfiducia che avvolge il suo stesso campo. Prevale la rassegnazione non a una sconfitta, ma a un percorso obbligato poco entusiasmante: qualche mese di trascinamento tra le polemiche su immigrazione, Europa, ius soli e Legge di stabilità; qualche finto movimento su una legge elettorale che non si farà; lo scontro duro e sordo sulla scelta dei candidati alle politiche (preceduto da una tornata di congressi provinciali annunciata ieri via sms, nello sconcerto delle aree interne che temono il ridimensionamento); infine, una prova elettorale affrontata senza la speranza di vincerla davvero, oscillando fra l’incubo di fermarsi alla quota-Bersani (26 per cento) e la parziale soddisfazione di una stentata maggioranza relativa da spendere in faticose trattative post-voto.
Ci vuole una scossa, una sveglia. La manifestazione milanese di sabato 1° luglio, al di là delle presenze (comprensibilmente poche, vista la data), ha confermato l’impressione di stanchezza diffusa. Perfino gli ultrà renziani ne sono usciti perplessi. Né ha dato gran conforto il paragone con la contemporanea manifestazione romana di Pisapia, che si è rivelata perfino più deludente (e gravida di conseguenze: ancorché ben nascosta ai media, è stata durissima la reazione dei neo-ulivisti contro i bersaniani per l’occupazione militare della piazza fin dalle prime file, bandiere rosse alla mano e un’evidente pretesa egemonica).
Già, perché il fatto di non avere alla propria sinistra né una seria concorrenza né una eventuale stampella fa crescere, nel Pd, la insolita e fin qui sconosciuta paura della rimonta e perfino del sorpasso berlusconiano: uno scenario che fino alle amministrative Renzi non aveva minimamente considerato, impegnato com’era nel duello rusticano con i Cinque stelle, e contro il quale non esistono facili contromisure.
Tranne, naturalmente, tornare a essere più credibili e innovativi nelle proposte per il futuro, rispetto a uno schieramento che sarà comunque in qualche modo guidato da un leader ultra ottantenne.
Paradossale che, a 42 anni, Renzi abbia già un problema di obsolescenza. Improbabile che lo risolva domani con una sia pur vivace relazione alla direzione del suo partito. Più facile che speri di proiettarsi nel futuro, a partire dalla settimana prossima, grazie all’uscita dell’atteso “Avanti”. Un libro che nessuno tranne autore ed editore ha letto in anteprima, e che nel Pd in realtà è più temuto che atteso, per le polemiche che potrebbero riaprirsi nel caso Matteo avesse deciso di usarlo più per prendersi qualche rivincita sul 4 dicembre e dintorni, che per mettersi il passato alle spalle e lanciarsi esclusivamente su soluzioni innovative per il paese.
È già abbastanza imbarazzante dover tornare a fare i conti politici con Berlusconi. Sarebbe davvero troppo se Renzi dovesse anche soffrire nel confronto editoriale con le proposte per il futuro del professor Romano Prodi.