La gestione dei brocchi. Elogio spericolato del metodo Casalino
Interviste solitarie, giornalisti amici, fuffa trasformata in oro. Cosa può imparare il Pd dal codice Rocco
Roma. Se scendi in campo con uno studente fuoricorso di professione webmaster e contro hai un economista dalla carriera promettente, vincitore di un grant europeo Erc da tre milioni di euro per un progetto di ricerca sul comportamento degli elettori, non c’è partita. A meno che alla comunicazione la tua squadra non abbia Rocco Casalino e gli altri il caos più totale. Perché in tal caso Luigi Di Maio apparirà come un cattedratico con lo standing da statista e Tommaso Nannicini come uno scappato di casa. L’economista della Bocconi, da poco entrato nella segreteria del Pd dopo la vittoria alle primarie di Matteo Renzi, volerà il prossimo mese in America per tenere, fino a dicembre, un corso ad Harvard sulla teoria dei giochi. Per la comunicazione di un partito è un gol a porta vuota: puoi evidenziare che nessun altro partito ha un responsabile economico chiamato a insegnare da prestigiose università straniere, puoi sottolineare che nella squadra hai persone preparate che hanno una vita professionale fuori dalla politica, puoi ricordare che nel resto del mondo la competenza vale ancora più dei clic. E invece succede che la notizia esce fuori come il passo di lato di Nannicini, una forma di disimpegno da parte di chi si appresta ad abbandonare il carro di Renzi. Come se insegnare ad Harvard fosse una via di fuga, come se in una condizione normale un economista preferisse restare a scrivere emendamenti per la legge di Stabilità.
Pochi mesi fa, quando a Luigi Di Maio è arrivato un invito da parte di un’associazione studentesca per parlare del M5s in un’auletta ad Harvard pareva che dovesse tenere una lectio magistralis per l’inaugurazione dell’anno accademico. Se n’è parlato per giorni – “Di Maio debutta in America”, “Di Maio parlerà ad Harvard”, “Di Maio punta a stringere la mano a Trump” – con toni autocelebrativi che neppure per il viaggio in America di De Gasperi (“ad Harvard sono stato accolto con il massimo degli onori e della gentilezza – scriveva Di Maio sul blog di Grillo – Appena arrivato mi hanno invitato a firmare il Guest Book di Harvard nel Marshal’s Office, dove hanno apposto la loro firma reali e capi di stato di tutto il mondo”). Insomma, dalle parti del Pd hanno passato gli ultimi anni a prendere in giro un partito che sceglie come responsabile della comunicazione un ex concorrente del Grande Fratello, senza accorgersi che Rocco Casalino – che poi sta per Casaleggio – è molto più bravo di loro. Gestisce le interviste dei parlamentari dettando le condizioni – che perlopiù sono l’assenza di contraddittorio – e se non vengono garantite nega la presenza di esponenti del M5s. Gran parte delle trasmissioni televisive per averli in studio si adegua al codice Rocco: solo ospiti graditi, interviste solitarie senza la presenza di giornalisti antipatizzanti.
E’ riuscito a costruire una campagna referendaria strepitosa, con le troupe televisive in giro per l’Italia dietro allo scooterone di Di Battista, pronto a fare monologhi televisivi in collegamento dalla piazza, descamisado in mezzo al popolo, mentre quegli altri della casta erano incravattati in studio a battibeccare e rispondere alle domande dei giornalisti. Basta vedere le prime performance televisive dei grillini per notare come il training di Casalino li abbia trasformati: entrano nei talk allenati, conoscono le solite domande a cui danno le solite risposte chiuse, farcite da slogan efficaci. Anche Paola Taverna, che sui social fa come agli inizi la barricadera de borgata, sulla Rai con un po’ di attenzione alla dizione e la permanente diventa quasi autorevole: linguaggio diretto, slogan efficaci, conoscenza del mezzo.
Un progresso incredibile rispetto ai primi tempi, soprattutto se paragonato ai molti esponenti del Pd che appaiono nei talk show e sembra che non sappiano dove si trovano né di cosa si stia parlando, disorientati e impreparati. I dem hanno cercato di correre ai ripari, imitando Casalino & Casaleggio – addirittura con un “corso di Facebook” per i parlamentari per colmare il digital divide con il M5s – ma hanno prodotto una serie di iniziative incoerenti, scoordinate, sovrapposte e contraddittorie (pagine Facebook con linguaggio grillino, canali non ufficiali, rassegne stampa, giornali, blog, newsletter). Una comunicazione senza un messaggio – indizio di un deficit di elaborazione politica – che negli ultimi mesi ha prodotto diverse gaffe e autogol.
Massimo rispetto quindi per Rocco Casalino che ha sconfitto quelli che dovevano essere i professionisti dello storytelling potendo schierare in campo, bisogna ricordarlo, gente come Di Maio, Di Battista, Sibilia e Fico. Figurarsi se avesse in squadra i Nannicini.