Perché il Pd nell'ex Toscana felix vuole evitare a tutti i costi l'allarme Rossi
Nella regione che non sta più dando soddisfazioni al Pd non c’è spazio per le ostilità nei confronti di Mdp, di cui il governatore fa parte
Roma. “Enrico Rossi è stato votato dai toscani e ha tutto il diritto, vorrei dire il dovere, di andare avanti e completare il suo mandato”. Firmato, Matteo Renzi. Nella Toscana che non sta più dando soddisfazioni al Pd, tra Livorno e Carrara ai Cinque Stelle e Arezzo, Grosseto e Pistoia al centrodestra, non c’è spazio per le ostilità nei confronti di Mdp, di cui il governatore fa parte dopo aver partecipato alla scissione con D’Alema e Bersani. Quelli che Renzi accusa di aver “tradito” il Pd.
La settimana scorsa, il consiglio regionale ha respinto la mozione di sfiducia contro Rossi presentata dalle opposizioni. Il Pd si è schierato in sua difesa, spiegando che il presidente è stato votato dai toscani sulla base di un programma preciso, quindi se la traccia del mandato resta quella scelta dagli elettori non ci saranno ripercussioni sul governo della regione. Non è la prima volta che Renzi si espone in prima persona su Rossi, spegnendo le speranze di chi, tra i suoi, già si apprestava ad auto-candidarsi: alle ultime regionali, nel 2015, il segretario del Pd lo confermò per il secondo mandato. Non c’è un bel clima nel centrosinistra in Toscana e adesso l’ultima cosa che il Pd si può permettere è rompere con gli alleati-scissionisti. Certo, l’impresa non è semplice per i vertici regionali dei Democratici: dopo neanche 24 ore dalla sortita renziana, Rossi e il sindaco di Prato, nonché presidente regionale di Anci, Matteo Biffoni, hanno discusso di brutto sulle politiche per la gestione dei migranti. Biffoni, che fra le altre cose è stato uno dei deputati renziani della prima ora prima di dimettersi per fare il sindaco, vorrebbe un centro per il rimpatrio, ma il governatore si è limitato a polemizzare: “Biffoni, che è d'accordo a realizzarne uno, magari potrebbe trovare a Prato un angolino per costruire un Cie…”. Rossi ha rilanciato sul tema proponendo di istituire una tassa sulle multinazionali e “una patrimoniale sui redditi sopra i 100 mila euro” per aiutare i migranti “a casa loro”. La situazione è ulteriormente complicata da alcuni addii, tra cui quello della deputata Elisa Simoni, che per mesi ha tentato di fare da “pontiera” fra il Pd, i fuoriusciti e quelli che sono tutt’ora intenzionati a mollare la casa madre. “Il Pd è diventato ormai un’altra cosa. Più simile a Forza Italia del ’94 che al Pd del Lingotto”, ha detto in un’intervista all’HuffPost con cui ha annunciato l’approdo a Mdp.
Insomma, quella in regione è un’alleanza forzata ma per il momento inevitabile (e se sia replicabile anche a livello nazionale è tutto da vedere). Le recenti amministrative sono andate male per il Pd, soprattutto nelle cosiddette regioni rosse (Toscana, Emilia Romagna, Marche, Umbria). “Le regioni di quella che un tempo si sarebbe definita ‘subcultura rossa’ – ha osservato l’Istituto Cattaneo dopo le amministrative – difficilmente possono continuare ad essere considerate il punto di riferimento indiscusso, per non dire il modello, di una partecipazione politica ed elettorale ampia, diffusa e stabile nel tempo”. Basta dare un’occhiata al bollettino di guerra delle amministrative degli ultimi anni per intravedere qualche rischio per il 2018. Il prossimo anno in Toscana si vota in tre città importanti: Siena, Pisa e Massa. Tre città a rischio. A Pisa ha sempre governato il centrosinistra da quando esiste l’elezione diretta del sindaco (e prima al massimo c’erano state giunte governate da democristiani). A Siena nessuna opposizione ha mai ottenuto grandi risultati, neanche il M5s che pure in teoria ha avuto terreno fertile. Stavolta però le cose potrebbero andare diversamente, anche a prescindere dalla tenuta dell’alleanza Pd-Mdp. Intanto, però, meglio evitare l’allarme Rossi.