Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

Il parto Gentiloni. Che creatura politica è nata in Italia dopo il 4 dicembre

Claudio Cerasa

A settembre saranno nove mesi di governo Gentiloni ed è il momento giusto per farsi un po’ di domande. Sulla traiettoria del governo, sui punti di forza, sui punti di debolezza e sulle partite da non perdere nel futuro. Un bilancio, con qualche voto

Il 12 settembre, più o meno al ritorno dalle vacanze, saranno nove mesi esatti, ovvero il tempo di una gestazione completa, giorno più o giorno meno. Ma già oggi, alla sua trentaquattresima settimana di vita, è possibile dire qualcosa di preciso, e di concreto, su una creatura politica molto particolare concepita sette mesi fa, pochi giorni dopo il risultato del referendum costituzionale, e destinata ad avere una vita più lunga del previsto. Avete capito di cosa parliamo e avete capito qual è la domanda da cui partiamo: che cosa possiamo dire oggi rispetto al profilo politico dell’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni? E soprattutto, da quello che vediamo oggi, che considerazioni si possono fare sul suo futuro, su quello che sarà e su quello che diventerà? Trentaquattro settimane non sono sufficienti per dare un giudizio completo su un presidente del Consiglio arrivato a Palazzo Chigi praticamente con un contratto voucher e che invece alla fine della legislatura vedrà entrare il suo governo nella classifica dei più duraturi della storia della nostra complicata repubblica parlamentare (oggi è il 47° più longevo, con 229 giorni, a fine febbraio, quando si andrà a votare, diventerà il 22°, superando di cinque giorni il quarto governo di Aldo Moro, quello del compromesso storico). Ma nonostante la particolare tipologia di contratto si può tentare di tracciare un profilo del presidente del Consiglio e si può provare a dare anche qualche giudizio.

 

Lo facciamo partendo da un pregiudizio molto positivo nei confronti di Paolo Gentiloni e da un pregiudizio molto negativo nei confronti della scelta di non essere andati a votare dopo il referendum costituzionale, ma nonostante questo non si può far finta di non vedere che cosa è successo negli ultimi mesi e non si può far finta di non vedere che in un modo o in un altro a Palazzo Chigi è nato un leader che, con i suoi punti di forza e i suoi punti di debolezza, è destinato a durare nel tempo. Per capire che creatura politica è Paolo Gentiloni abbiamo selezionato cinque particolari categorie che ci sembrano sufficienti per dare un giudizio sul personaggio. Capacità di far valere gli interessi dell’Italia. Capacità di esprimere una leadership trasversale. Capacità di reagire alle emergenze del paese. Capacità di governare senza dividere. Capacità di interpretare lo zeitgeist, ovvero lo spirito culturale del tempo. Su alcuni dossier il giudizio è sospeso, su altri punti invece il giudizio è già definito. Partiamo dall’ultimo punto: lo zeitgeist. Su questo fronte, Paolo Gentiloni non può che avere un voto alto.


 

Un’Italia divisa e rassegnata


Dopo la disputa del referendum costituzionale l’Italia si è svegliata in parte molto divisa e in parte molto rassegnata, e si è ritrovata di fronte a un messaggio che era impossibile non recepire: nella nostra democrazia il vero valore non negoziabile non è la governabilità ma è la rappresentatività; e partendo da questo presupposto l’Italia di oggi non poteva che essere guidata da un campione della mediazione e non della rottamazione. Da questo punto di vista, Gentiloni è semplicemente perfetto. Non divide. Non attacca. Non spaventa. Non minaccia. Non rompe. Piuttosto, media. Piuttosto, ricompone. Piuttosto, rassicura. Piuttosto, arretra. Apparentemente lo schema di gioco è identico a quello del suo predecessore, e amico, Matteo Renzi. Ma il 4-4-2 di Renzi era un 4-4-2 in stile Arrigo Sacchi, con i difensori che da quattro diventano due e con i centrocampisti che da quattro diventano uno e con gli attaccanti che improvvisamente diventano sette, mentre il 4-4-2 di Gentiloni è uno schema più prudente, più difensivo, più trapattoniano, più da catenaccio, più da ripartenze secche e improvvise. Gli scudetti si vincono sia con il primo che con il secondo schema ma dopo aver preso una valanga di gol il 4 dicembre, diciannove milioni, lo schema di gioco al governo non poteva che essere più difensivo, meno accattivante, meno spettacolare, e il risultato, perfetto, è quello di oggi. Lo zeitgeist di oggi è la mediazione, non la rottamazione, vale per il governo, vale per la presidenza della Repubblica, vale per la direzione di alcuni giornali, vale per la direzione della Rai, e se questo è lo spirito del tempo Gentiloni lo rappresenta alla grande. E dallo zeitgeist arriviamo rapidamente al modello di leadership interpretato da Gentiloni. 

 

La leadership di Gentiloni è una leadership molto trasversale (la principale differenza politica tra il governo Renzi e il governo Gentiloni è che questo governo oggi ha spesso il sostegno di Forza Italia, cosa che Renzi aveva solo nella prima fase della sua esperienza a Palazzo Chigi). E si trova a un punto perfetto di intersezione tra ciò che è stato Enrico Letta, con il suo cacciavite, e ciò che è stato Matteo Renzi, con il suo trapano. Gentiloni ha messo da parte il trapano e anche il cacciavite e ha scelto di utilizzare uno strumento diverso: la pinza. Il cacciavite di Letta, che si è arrugginito molto velocemente, coincideva con un network molto ampio al quale l’ex presidente del Consiglio faceva affidamento per provare a ottenere qualche risultato. Il trapano di Renzi coincideva invece con un sistema molto dinamico, a volte violento, che permetteva al successore di Enrico Letta di andare a fondo su alcuni problemi anche a costo di far crollare qualche muro (a volte il muro cadeva davvero, altre volte il muro cadeva addosso).

La pinza di Paolo Gentiloni è molto diversa e presenta due modalità di fruizione molto simili tra loro: permette di inserire in modo delicato un qualche elemento in un determinato contesto, senza che nessuno se ne accorga, oppure permette di fare la stessa operazione per estrarre un elemento fastidioso da un contesto diverso. In alcuni casi la pinza ha funzionato bene (vedi il dossier sulle banche, risolto con efficacia dal governo, vedi il dossier sui voucher, che Gentiloni ha abolito per evitare un referendum troppo divisivo ma che poi, oplà, ha introdotto in una forma diversa, sotto mentite spoglie). In altri casi la pinza deve ancora dimostrare di saper agire bene per mettere al sicuro il nostro interesse nazionale. E qui arriviamo alla parte sulla quale il governo Gentiloni è una grande incognita e rischia di offrire sorprese negative.

 

Le partite da prendere in considerazione sono queste: il dossier sulla Libia e la gestione dei confini dell’Italia; il dossier sull’Agenzia del Farmaco, che dovrà spostarsi da Londra come effetto della Brexit e che a novembre la Commissione europea deciderà a quale città affidare; il dossier relativo alla trattativa sul deficit; il dossier relativo alla trattativa sulla prossima legge di Bilancio; il dossier relativo al destino di Alitalia. La pinza di Gentiloni ha funzionato bene nelle situazioni di media difficoltà – le polemiche sul governo Gentiloni sono state pochissime un po’ per merito del premier, sì, ma un po’ per merito anche della particolare situazione in cui si trova il nostro paese, dove un elogio a Gentiloni viene sistematicamente trasformato in una critica a Renzi e dove una critica a Gentiloni viene sistematicamente trasformata in un elogio a Renzi – ma da questo momento in poi il primo ministro dovrà dimostrare di saper utilizzare bene la sua pinza anche rispetto alle grandi partite che riguardano l’interesse dell’Italia.

 

Al momento, sui principali dossier, le sensazioni non sono buone. L’Ema sembra destinata a finire in un altro paese, nonostante Milano sia la città in Europa con il maggiore know-how nel settore farmaceutico. Alitalia, per ragioni elettorali, e dunque probabilmente non per ragioni legate alla volontà del primo ministro, sembra essere destinata alla nazionalizzazione. I piccoli sconti che verranno concessi dall’Europa sulla prossima legge di Bilancio sono sconti che erano stati già promessi all’Italia ai tempi del governo precedente. Il dossier sulla Libia è un dossier sul quale l’Italia si sta muovendo correttamente (da ministro degli Esteri, funzione che di fatto il primo ministro continua a svolgere anche oggi, Gentiloni era stato uno dei principali sostenitori del governo Serraj) ma l’impegno europeo per proteggere l’Europa dall’arrivo incontrollato dei migranti dalla Libia è un impegno che andrà monitorato e valutato nel tempo e se nel corso dell’estate l’arrivo di migranti dovesse aumentare in modo significativo Gentiloni dovrà dimostrare di sapere utilizzare uno strumento più efficace della pinza. In una intervista rilasciata la scorsa settimana a Repubblica, l’economista francese Alain Minc, molto vicino al presidente francese Emmanuel Macron, ha detto, negli stessi giorni in cui una classifica internazionale ha registrato un crollo del soft power esercitato dall’Italia dal 2016 al 2017, che da quando Renzi è sparito da Bruxelles è sparita la voce dell’Italia dall’Europa.

Probabilmente è un giudizio troppo severo ma i prossimi mesi ci diranno se la pinza di Gentiloni è in grado di funzionare non solo per togliere l’Italia dai pasticci ma anche per mettere l’Italia in condizione di competere con i grandi del mondo. Vale per i dossier che abbiamo segnalato finora. Vale in particolare sulla prossima legge di stabilità, sulla quale l’Italia (la partita vera sarà quanta decontribuzione ci sarà sui contratti dei giovani) ha il dovere di giocare una gara all’attacco, provando a recuperare la distanza che la separa dai grandi paesi dell’Europa, che in alcuni casi, vedi la Spagna, crescono il doppio dell’Italia. Vale, in piccolo, anche sulla partita Fincantieri Stx France. Mentre sul capitolo degli hotspot in Libia, il primo ministro ha dimostrato di saper giocare bene a scacchi con il presidente francese, su questa partita l’Italia è uscita con le ossa rotte: un impegno preso dal precedente presidente francese con il precedente governo italiano (via Fincantieri) è stato stracciato dal nuovo presidente francese che non ha trovato ragioni sufficienti per fidarsi fino in fondo di un’azienda controllata dal governo italiano.

 

Domani pomeriggio il ministro Calenda e il ministro Padoan incontreranno il ministro dell’Economia francese e l’occasione sarà importante, come le altre che abbiamo messo in evidenza, per capire se il presidente del Consiglio ha o no la forza, con questa maggioranza di governo, di esercitare fino in fondo, e in modo corretto, il suo soft power. Ci sarebbero molte altre cose da raccontare su Paolo Gentiloni e si potrebbe scrivere molto anche sul modo in cui il primo ministro cerca di resistere in modo generoso a tutti coloro che tentano di portarlo sulla strada del rancore lettiano, facendolo diventare non un complice ma un avversario del segretario del Pd, come sognano per esempio Repubblica e il Corriere della Sera, con i cui editori, Carlo De Benedetti e Urbano Cairo, Gentiloni è in ottima sintonia.

 

Ci sarebbero altre cose che si potrebbero raccontare sulla storia del primo ministro arrivato quasi per caso in questo Parlamento, arrivato quasi per caso alla Farnesina, arrivato quasi per caso a Palazzo Chigi e diventato quasi per caso uno dei candidati buoni per guidare un governo di grande coalizione anche nella prossima legislatura. Ci sarà tempo per valutare fino in fondo che tipo di primo ministro è Paolo Gentiloni ma intanto ci proviamo noi e tentiamo di dare un voto a ciò che ha fatto finora. Capacità di far valere gli interessi dell’Italia: 5 (rimandato a fine anno). Capacità di esprimere una leadership trasversale: 8. Capacità di reagire alle emergenze del paese: 5,5. Capacità di governare senza dividere: 8. Capacità di interpretare lo zeitgeist, ovvero lo spirito culturale del tempo: 8.

 

 

L’adeguamento dell’età pensionabile


A settembre il governo Gentiloni compirà nove mesi. Finora non ha governato male ma la grande sfida dei prossimi mesi è quella di sapere affrontare di petto le grandi emergenze del nostro paese senza narcotizzarle (come è successo finora con la legge sulla concorrenza) e senza peggiorarle (come è successo con la storia dell’abolizione dei voucher). Servirebbe un grande scatto di orgoglio non solo sulle partite che abbiamo segnalato ma anche su un altro terreno, altrettanto cruciale per il futuro del paese: dire no alla richiesta trasversale, che arriva da un fronte ampio che va da Sacconi a Damiano, di sospendere l’applicazione dell’adeguamento dell’età pensionabile. In caso di stop, ha detto il presidente dell’Inps Tito Boeri, la decisione avrebbe un effetto devastante sulle casse dello stato e coinciderebbe a 141 miliardi di euro in più fino al 2035.

Gentiloni incontrerà in settimana i sindacati per valutare cosa fare e come comportarsi. Se avrà la forza di ribellarsi all’ennesimo ricatto di un sindacato che, avendo per lo più iscritti in pensione, continua sistematicamente a non difendere i diritti delle nuove generazioni, alcuni voti potrebbero migliorare. E se così fosse potremo dire che dopo il 4 dicembre a Palazzo Chigi forse non è ancora nato un leader ma è certamente nata una leadership tosta e raffinata. E in un’Italia dove le mediazioni, oggi, tendono a prendere il posto delle rottamazioni, con quella leadership bisognerà fare i conti, specie se un domani sarà ancora necessario scommetterà più sulla rappresentatività che sulla governabilità. Buona fortuna.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.