Contro quelli che “voi siete fascisti” ma su Venezuela o Israele balbettano
Perché il fronte del “nuovo Olocausto” dei migranti non sa usare la stessa fermezza anche di fronte ai nuovi nazismi veri
Da qualche tempo a questa parte il dibattito pubblico italiano, e in particolare il dibattito relativo alla questione della giusta politica da adottare per gestire nel modo più opportuno possibile il capitolo immigrazione, è caratterizzato da un salto logico e lessicale molto importante, che punta a trasformare in “negazionisti” tutti coloro che non accettano un parallelismo che per una parte del paese oggi sembra essere diventato innegabile: i migranti che oggi tentano di sopravvivere spostandosi dall’Africa all’Europa sono paragonabili agli ebrei che negli anni Quaranta tentarono di sopravvivere ai campi di concentramento di Auschwitz. In virtù di questo impegnativo salto logico, chiunque osi negare l’assunto appena descritto diventa, a seconda del livello di retorica scelto, o un collaborazionista dei nuovi nazismi o un complice dello sterminio di massa. E grazie a questa raffinata operazione lessicale e culturale, dire che governare l’immigrazione corrisponda grosso modo a essere complici di un nuovo Olocausto è dire qualcosa che una buona parte dell’opinione pubblica italiana considera perfettamente di buon senso.
Uno dei primi a descrivere come “un nuovo Olocausto” il passaggio dei migranti dall’Africa all’Europa è stato il regista italiano Gianfranco Rosi, autore di un commovente film sul tema, “Fuocoammare”. Gli ultimi, tra gli altri, a imporre nella discussione pubblica la categoria del nuovo Olocausto, relativamente al dossier legato alla gestione dei migranti, sono stati una serie di intellettuali italiani che la scorsa settimana, come ha ricordato sabato sul Foglio Giulio Meotti, hanno firmato un appello, molto duro, per difendere il diritto delle organizzazioni non governative (in primis Medici senza frontiere) a dire di no alle norme previste dal codice di regolamentazione voluto dal governo Gentiloni e dal ministro Minniti. Le motivazioni sono le seguenti e vale la pena leggerle bene per capire cosa c’è in ballo. L’incipit è di per sé molto evocativo: “E’ in corso un nuovo sterminio di massa”. Poi: “Il nostro governo non è indifferente a questa carneficina ma complice: invia navi militari per impedire ai migranti di lasciare le coste dell’Africa; si accorda con i dittatori dei paesi che perseguitano i profughi per bloccare ai confini chi tenta la fuga; perseguita le ong che – senza alcun fine di lucro – salvano i migranti in mare; impone loro condizioni che rendono impossibile o vano l’intervento, come il divieto di trasbordare i profughi su imbarcazioni più grandi o l’obbligo della presenza sulle navi di ufficiali militari armati, inaccettabile per le associazioni umanitarie che operano in terre di conflitto solo grazie alla loro neutralità”. Infine il colpo di biliardo: il paragone esplicito tra i professori universitari che l’8 ottobre del 1931 non firmarono il giuramento di fedeltà al fascismo e gli intellettuali che oggi chiedono di non rispettare il codice di auto regolamentazione del governo italiano, evidentemente considerato non meno fascista del giuramento di fedeltà firmato Benito Mussolini.
Il manifesto dei dodici professori ribelli venne rinominato “Io preferirei di no”. Il manifesto degli intellettuali ribelli è stato chiamato allo stesso modo: “Io preferirei di no”. Si dirà: e dov’è il problema? E’ solo un artificio retorico, no? Che cosa c’è da lamentarsi? Il problema purtroppo c’è e il dramma del problema è che in molti fingono di non vederlo.
La prima questione è semplice. Sostenere che chi cerca di governare i confini dell’Europa stia in realtà giocando a fare il nuovo Hitler non è solo un modo per delegittimare chiunque si occupi di ragionare sul fenomeno dell’immigrazione ma è un modo per affermare una verità che merita di essere esplicitata per quello che è: di fronte a un’ondata migratoria come quella che a poco a poco sta prendendo forma sulle coste africane, l’occidente non può fare altro che accogliere i fratelli che arrivano dall’Africa, senza mettersi a discutere troppo di dettagli inutili come, per esempio, la clandestinità, l’irregolarità, la differenza tra migrante in cerca di asilo politico o migrante in cerca di una migliore condizione economica.
Ragionamento semplice ed elementare: chi non apre le sue porte a chi chiede aiuto non è una persona che vuole governare i confini di un paese ma è in definitiva un fascista, o forse addirittura un nazista. Questo ragionamento è però viziato da una verità che viene detta in modo implicito e che forse meriterebbe di essere esplicitata in modo più sincero. Il fronte che sostiene la presenza di un nuovo Olocausto non vuole che nelle acque che separano la Libia dall’Italia ci siano delle regole ben definite perché semplicemente crede che le migrazioni siano un fenomeno naturale e crede che una persona che vuole spostarsi da un continente all’altro non debba essere ostacolata ma debba essere semplicemente aiutata a farlo. Per questo prova ad alzare l’asticella del dibattito su un piano sul quale è impossibile discutere. Per questo prova a silenziare con il bollino dell’infamia chiunque sostenga che sia giusto che un paese accolga i migranti non seguendo le leggi del cuore ma seguendo la leggi della natura. Per questo prova una certa indignazione nel leggere dati come quelli che sono arrivati ieri, che segnalano come a luglio il numero dei migranti sbarcati in Italia attraverso il Mediterraneo centrale (10.160) sia calato del 57 per cento rispetto a giugno, ovvero il livello più basso per il mese di luglio dal 2014 a oggi. Governare l’immigrazione, secondo questa logica, non significa gestire i confini ma significa essere portatori di valori diversi, come ha onestamente riconosciuto sabato scorso sul Corriere della Sera il portavoce italiano di Medici senza frontiere, ammettendo forse in modo involontario che il problema vero del Mediterraneo non è soltanto salvare le vite in mare ma è incentivare quanto più possibile i migranti a cercare in qualsiasi modo la via di fuga dalle terre da cui vogliono scappare: “Gli stati europei e le autorità libiche stanno attuando congiuntamente un blocco alla possibilità delle persone di cercar sicurezza”.
La questione di fronte alla quale si trova ancora una volta l’opinione pubblica italiana è dunque quella di scegliere non se essere nazisti o non essere nazisti – se il fronte del nuovo Olocausto mostrasse la stessa sensibilità messa in campo contro i Fake Olocausto anche in riferimento ai veri nuovi nazismi, a tutti coloro che per esempio ogni giorno minacciano l’esistenza di Israele, avremmo certamente una classe dirigente migliore – e neppure se salvare o no le vite in mare. Si tratta di una questione più delicata e più sofisticata, sulla quale ci permettiamo di insistere e sulla quale sarebbe bello che anche il portavoce dell’Italia alternativa all’Italia che sta prendendo forma attorno al ministro Minniti (l’Italia dei Saviano) dicesse davvero cosa pensa rispetto a una domanda semplice: un buon governo deve incentivare o disincentivare l’immigrazione di massa? E infine, se un governo che disincentiva gli arrivi fa crollare le morti in mare, è un governo che ha agito bene o è un governo che ha agito male? Accanto a questo problema, infine, c’è un tema ulteriore che riguarda la difficoltà con cui la nostra opinione pubblica denuncia alcune truffe lessicali come quelle messe in campo dal fronte del “Nuovo Olocausto”. E’ un problema che abbiamo visto e osservato anche durante i mesi che hanno preceduto il voto sulla riforma costituzionale: l’abuso dell’allarme sul rischio di una deriva autoritaria. E non è un caso che molti dei firmatari che oggi paragonano al fascismo le formule del codice Minniti siano gli stessi ma proprio gli stessi che si erano ritrovati insieme un anno fa per segnare il fascismo contenuto tra le righe della riforma Renzi-Boschi. Si potrebbe segnalare il paradosso che coloro che più o meno una volta al mese provano a delegittimare gli avversari con il bollino dell’infamia del fascismo sono gli stessi che spesso balbettano quando parlano di Venezuela, sono gli stessi che spesso balbettano quando parlano di Israele, sono gli stessi che spesso balbettano quando un qualche regime minaccia di cancellare Israele dalla mappa geografica, sono gli stessi che spesso balbettano quando un qualche politico dice esplicitamente di voler cancellare la democrazia rappresentativa per sostituirla con una democrazia diretta da un clown eterodiretto da un’azienda privata.
Si potrebbe ricamare a lungo su tutto questo ma l’abuso della terminologia anti fascista è parte di un problema molto più grande ben affrontato in un bel libro firmato qualche mese fa da Mark Thompson, ceo del New York Times. Il libro si chiama “La fine del dibattito pubblico” e in un passaggio del saggio Thompson ricorda un episodio che se rievocato in questi giorni non può che far riflettere. “Nel libro terzo della sua Guerra del Peloponneso – ricorda Thompson – Tucidide sostiene che un fattore importante del declino di Atene da democrazia disfunzionale fino a tirannide e anarchia passando attraverso la demagogia è stato una mutazione nel linguaggio: la gente iniziava a definire le cose come le pareva, secondo l’autore, e andava perso ‘il significato normale e accettato delle parole’”. Il ragionamento di Thompson è chiaro. Una classe dirigente che non si ribella alle parole usate in un modo assurdo è una classe dirigente pronta a farsi imbrogliare. Più che una deriva autoritaria, forse, l’unica deriva che andrebbe denunciata con forza è un’altra forma di dittatura: non quella dell’uomo solo al comando del paese ma quella del cialtronismo al comando della nostra opinione pubblica.