Zanda ci spiega il delirio e i rischi della democrazia del clic a 5 stelle

David Allegranti

Con pauperismo, guerra al finanziamento pubblico e ai vitalizi non si va da nessuna parte, dice il presidente dei senatori del Pd

Roma. “Dovremmo riflettere di più sulla crisi delle democrazie parlamentari. Trump, Brexit, Erdogan e persino Grillo sono l’effetto di questo fenomeno, ma contemporaneamente possono esserne il moltiplicatore”. Luigi Zanda, presidente dei senatori del Pd, dice al Foglio che con la riapertura della stagione politica a settembre alcune questioni dovranno essere affrontate. “Anche nell’opinione pubblica più avvertita e nelle classi dirigenti occidentali si sta insinuando la sensazione che la democrazia parlamentare non sia in grado di governare né la complessità dei problemi del nostro tempo né la dimensione transnazionale della finanza, dell’immigrazione, del terrorismo, delle nuove tecnologie e della criminalità. Dopo il 1989, la fine dell’ordine mondiale ha determinato l’affermarsi delle cosiddette democrazie autoritarie. Rino Formica le chiama democrazie consolari. In questa condizione in Italia la democrazia parlamentare è entrata in crisi assieme alla crisi dei partiti politici”. Lo dimostrano alcuni fatti di oggi: “Gran parte della nostra legislazione più rilevante viene dai decreti legge e dai voti di fiducia”. Ma “a indicare la debolezza del nostro sistema parlamentare sono i cambi di casacca: stiamo raggiungendo quota 600. Un indebolimento aumentato con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e con l’abolizione delle indennità di governo ai ministri. Anche l’applicazione retroattiva contenuta nel ddl sui cosiddetti vitalizi, oltre a essere di dubbia costituzionalità, è la dimostrazione della bassa considerazione di cui gode il Parlamento”.


Luigi Zanda


Lei pensa che la legge per abolire il vitalizio agli ex parlamentari sia sbagliata? “Il Senato esaminerà il provvedimento. Penso che la questione da seguire con maggiore attenzione sia quella costituzionale. Dopodiché, credo che il rinforzo del Parlamento sarebbe dovuto passare dall’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione sulla regolamentazione della vita dei partiti. E invece abbiamo seguito un altro percorso, premettendo alla disciplina democratica dei partiti l’abolizione del finanziamento pubblico, l’eliminazione delle indennità per i membri del governo e, adesso, il vitalizio”. Quindi secondo lei bisognerebbe ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti? “La legge sul finanziamento pubblico ormai è questa e non chiedo di cambiarla, ma se metto a confronto il disordine e le deviazioni attuali con un sistema di finanziamento pubblico limitato e ben controllato è chiaro che preferisco il secondo”. Insomma, “non mi sembra che il sistema dei partiti sia migliorato con l’abolizione del finanziamento pubblico”.

 

La politica, dice Zanda, “deve essere molto più onesta della società civile, molto più trasparente, ma in tutte le democrazie del mondo c’è molta attenzione ai pericoli che vengono dal dominio dell’economia sulla politica. E il finanziamento pubblico serviva a impedire il dominio dell’economia nei confronti del Parlamento. Dunque, la democrazia ha un costo ed è giusto sostenerlo. Da un lato quindi “c’è chi vuole difendere, ammodernandola, la democrazia parlamentare. Dall’altro c’è chi la nega e la vuole logorare anche sabotandone i meccanismi giorno per giorno. E’ chiaro che i capi del M5s appartengono a questa seconda categoria. Dico i capi perché tra i parlamentari e tra gli elettori a Cinque stelle ci sono tantissimi sinceri democratici. Ma la famosa democrazia del clic è il contrario della democrazia parlamentare. La chiamano diretta, nel senso che è diretta da qualcuno; da Grillo e dalla Casaleggio Associati. Ormai i casi non si contano più. Dalla vicenda oscura della guerra al candidato sindaco di Genova alla scomunica di Pizzarotti, alla tragedia di Roma, che viene governata con il telecomando. Sono esempi chiarissimi di come funziona la democrazia del clic. Ma poi pensiamo anche alle vicende del Senato. All’inizio della legislatura i 5 stelle erano 50, poi via via ne hanno persi 20. Non sono andati via perché c’è stata una scissione politica, sono scappati uno per uno quando hanno capito di non avere libertà di mandato e che tutti gli ordini arrivano da fuori. Oppure pensiamo ai tantissimi voltafaccia, come sulle unioni civili. Anche la contrarietà allo ius soli è stata imposta ai senatori per calcoli elettorali”. Alla fine, spiega Zanda, stiamo dimostrando che la “questione delle questioni è il funzionamento del Parlamento in una democrazia. Ed è per questo motivo che, nella sostanza politica, la democrazia del clic è una forma di democrazia governata dall’alto ed è quindi il segno di una posizione politica di destra e autoritaria. Noi invece difendiamo la democrazia rappresentativa, pensiamo che il popolo debba essere rappresentato attraverso libere elezioni e nella forma organizzata dei partiti e dei movimenti politici. Il clic di 100 o 200 cittadini non rappresenta la democrazia. Non è democrazia. E le vicende della piattaforma Rousseau sono un’aggravante perché dimostrano la manipolabilità del sistema”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.