Le incomprensibili difficoltà di Delrio ad ammettere i successi altrui

Ercole Incalza

I motivi della essenzialità di un’opera come il “Terzo Valico dei Giovi” e le deformazioni concettuali del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti

Al direttore - In prossimità della scadenza naturale del governo (sic!) è interessante notare come a conti fatti, al ministro Delrio si possa attribuire, tra gli altri, anche il merito di aver arricchito di significato il termine italiano di “deformazione concettuale dei fatti”.

 

Ignorare le realtà imprenditoriali come le imprese di costruzioni, rimanere fermi mentre il mercato degli appalti riduce fortemente forza lavoro e redditività, avvantaggiare il consenso politico del proprio partito con un cambiamento del codice appalti e delle classi dirigenti, ostentare indifferenza verso processi amministrativi e regole consolidate per proporne di nuove non ugualmente efficaci, stravolgere il senso stesso del consenso territoriale con il ricorso a forme negoziali territoriali come il débat publique, permettere che l’ideologia ambientalista, e non l’ambientalismo, modifichi e devi il percorso di sviluppo di molte realtà economiche territoriali industriali rendendo impossibile da sostenere economicamente nel tempo progetti previsti già molti anni fa come per esempio il dragaggio del porto di Taranto le cui terre sono oggi residuo non inquinante, dissimulare la portanza strategica di alcune scelte di investimento assunte nel passato con dubbie e non meglio identificate azioni di rivisitazione progettuale, disinteressarsi dalla ricerca di nuovi investimenti e di proposte legislative risolutive di antichi limiti che alimentano le conflittualità, sono tutte azioni che descrivono i fatti posti in essere dal ministro Delrio a fronte delle parole e delle spiegazioni che lo stesso ministro ha per descrivere la crisi del settore.

 

Anche i bambini sanno che, indipendentemente dalla dimensione economica di una qualunque opera, affinché una scelta di investimento diventi servizio fruibile, è necessario che nelle fasi intermedie tra la fattibilità e consegna all’esercizio si debbano considerare una serie di passaggi obbligati quali: la disponibilità e certezza dei finanziamenti, la procedura amministrativa e autorizzativa prevista, la pubblicazione del relativo bando di gara, l’inizio e la fine dei lavori, il collaudo dell’opera, l’autorizzazione della messa in esercizio. Le procedure di attuazione, i processi procedurali autorizzatori, la natura dei finanziamenti, i soggetti decisori degli investimenti, i progettisti, le imprese di costruzione, sono strumenti e soggetti che vivono la fattibilità, la programmazione, la pianificazione, la progettazione e l’attuazione, fuori dal contesto di un fattore decisivo: il tempo e non solo la farraginosità delle regole. Le regole le fanno gli uomini e gli uomini che hanno inventato il tempo, non lo governano perché ne hanno una visione parziale e personale, ma anche perché si illudono di governare le scelte politiche convinti che il proprio opportunismo non sia tale e che interpreti realmente i fatti.

 

Nel mese di agosto, sulla stampa sono comparsi alcuni articoli molto illuminanti del concetto stesso di deformazione concettuale e coerenti con le scelte del ministro: tre articoli relativi al collegamento ferroviario ad Alta Velocità Genova-Milano con i seguenti titoli: “Terzo Valico, Genova vuole agganciare l’Europa” e “Terzo Valico. Opera strategica per il Nord Est”; mentre, sempre lo stesso giorno, su Repubblica (edizione di Genova) vi era un terzo articolo dal titolo: “Il Terzo valico ora corre, disco verde dal CIPE anche al quinto lotto”. Un’ opera decisa nel lontano 1991 che in ventisei anni ha visto tre governi impegnati nel bloccarla e che ha visto illustri responsabili della intellighenzia economica del paese esprimersi in modo negativo sulla utilità dell’opera, e addirittura alti funzionari delle Ferrovie dello Stato dibattere, in occasioni ufficiali, sulla non essenzialità dell’opera. Ne parlo perché sono testimone diretto di una serie di eventi relativi alla scelta e alla attuazione concreta di tale opera. Ho personalmente subìto due procedimenti, uno penale e uno amministrativo.

 

Il primo procedimento, poi archiviato, era relativo al mio diretto interessamento, quale Amministratore Delegato della Tav, nella ricerca e nell’ottenimento, attraverso appositi strumenti normativi, di apposite risorse da parte dello stato per dare attuazione all’opera; il secondo, quello amministrativo, sollevato dalla Corte dei Conti, per aver dato corso alla realizzazione dei “cunicoli esplorativi” nella fase di progettazione di “un’opera ritenuta inutile”. Cunicoli esplorativi essenziali se si tiene conto che il Terzo Valico contiene una galleria lunga 39 chilometri. Ero tanto convinto della necessità e della essenzialità dell’opera che, nel mio ruolo di rappresentante dell’Italia nel Gruppo ad Alto Livello della Commissione Trasporti della Unione Europea coordinata da Karel Van Miert, proposi e ottenni, nel 2003, la creazione di un nuovo Corridoio comunitario all’interno delle Reti TEN – T, un Corridoio definito proprio “Rotterdam-Genova”.

 

Queste mie considerazioni non cercano nessun riconoscimento e nessun apprezzamento; nel nostro paese infatti è normale e direi fisiologico essere vilipesi e attaccati quando si cerca di dare attuazione a scelte strategiche, però vorrei quanto meno che quando si elencano i motivi della essenzialità di un’opera come il “Terzo Valico dei Giovi”, quando si apprezza il trasferimento delle risorse garantito attraverso la logica dei lotti costruttivi, logica voluta dalla Legge Obiettivo, quando si scopre la rilevanza strategica a scala europea del collegamento delle due piastre logistiche di Genova e di Rotterdam, si ammettesse anche quanto assurdo sia, da parte di molti, la miopia concettuale e l’inerzia che ha prodotto e produce solo una perdita di anni nella realizzazione delle opere e quindi un danno grave, danno elevato e misurabile in termini economici, alla crescita del Paese, alla crescita dei sistemi produttivi territoriali.

 

Resto meravigliato solo di una cosa: le deformazioni concettuali o le mancate ammissioni dei successi di uno schieramento politico diverso sono più congeniali al Movimento 5 Stelle e non a un ministro di uno schieramento politico come il PD, uno schieramento storico che non merita simili errori comportamentali.

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