Il grande capriccio
Le sbandate dell'accozzaglia referendaria dicono che non esiste alternativa a un incontro Renzi-Cav.
Dopo l’inverno del grande capriccio, con una maggioranza di italiani che boccia le ragionevoli riforme di Renzi e blocca la sola leadership nazionale emersa dopo Berlusconi, ora tutti a lamentarsi delle conseguenze: governare sarà più difficile, le elezioni dell’anno prossimo sono al buio, la legge elettorale proporzionale non va bene, e intanto un governo “renziano” risolve problemi in un contesto di ripresa che l’opinione pubblica e il sistema dei media stentano ad ammettere. I tedeschi accompagnano con soddisfazione il lungo ciclo di governo della Merkel, i francesi sono alle prese con il jobs act e altre riforme pro mercato e fiscali di Macron, gli spagnoli consentono a Rajoy un equilibrio di minoranza parlamentare e noi siamo alle prese con la nostra piccola Brexit del 4 dicembre scorso, errore meno fatale ed epocale ma non meno capriccioso di quello britannico. Nessuno avrà il coraggio di ammettere che la famosa accozzaglia referendaria si è liberata di un nemico immaginario, ha celebrato i fasti di una improvvisa ondata di antipatia, ma non ha da dire molto al paese. Viviamo il paradosso di successi negati per tigna, per ipocondria, e mentre il Pd sconta la grave onta di aver fatto il suo mestiere per cinque anni a partire dal 2013, tra scissioni e mucche nel corridoio, lasciamo galleggiare come sugheri coalizioni politiche impossibili come il centrodestra da Berlusconi a Salvini e la combriccola casaleggiana che illustra il paese dei suoi disastri e della sua incompetenza.
L’unica prospettiva credibile appena, ma l’unica allo stato, così, senza maggioritario né ballottaggio, è quella di un governo di coalizione nello stile della vecchia Repubblica dei partiti, una sorta di nuovo centrosinistra da Berlusconi a Renzi, ma nessuno è in grado o ha voglia di lavorare in questa direzione. Sarebbe una novità nel segno del realismo, no? Ma bisognerebbe spiegare che il patto del Nazareno aveva sbloccato la vita nazionale, ci aveva tirato fuori dall’inefficace cacciavite di Enrico Letta, dalle fumisterie di Bersani, dalla consegna dei berluscones all’impotenza rancorosa, e aveva prodotto un governo di tre anni che si è infranto contro la dissoluzione occasionale del patto, in un gioco di ripicche e capricci.
I dati sulla ricchezza nazionale, la dinamica finanziaria non proprio virtuosa ma non così scadente, e sull’occupazione ai livelli precedenti l’inabissamento del 2008 parlerebbero, insieme a molti altri segni, in favore di una presa d’atto: con il Nazareno siamo usciti dal montismo-lettismo, che è stato una stagione tecnicamente pregevole e molto utile ma politicamente intraducibile in qualsivoglia maggioranza, e alla fine, malgrado i capricci, con i Gentiloni, i Minniti e i Calenda siamo rientrati in un gioco di soluzioni efficaci dei problemi nell’Europa a quattro, cooperativa, che si profila e non ci esclude. Poi se vogliamo far finta che il sistema maggioritario si possa resuscitare, che sarà una battaglia di leadership come nel passato quella delle prossime elezioni e che il populismo è altro che non una perdita di tempo e di energia, accomodiamoci pure. Saranno altri inutili capricci, e molto infantili.