Come smascherare una super fake news: l'esistenza di un candidato premier
Di Maio, Renzi, Salvini. Le ragioni per cui tendono ad alimentare questa bufala sono differenti l’una dall’altra. Quando sarà, deciderà tutto Sergio Mattarella
A pochi giorni dalla selezione del suo candidato premier, il movimento cinque stelle ha scelto di offrire un’ulteriore prova di credibilità, e una nuova conferma dell’ottimo funzionamento della democrazia diretta, facendo sapere ai suoi elettori che, allo stato attuale, a dodici giorni dal voto, non solo non esistono regole definite per eleggere il candidato premier grillino ma non esistono neppure candidati ufficiali. La modalità con cui verrà scelta – o meglio: ratificata – la persona che andrà a incarnare l’identità del movimento cinque stelle da qui alle prossime elezioni non è però l’elemento più comico e surreale di questa prima fase della campagna elettorale. C’è qualcosa di più.
Qualcosa che riguarda non soltanto il partito della fuffa grillina ma anche quasi tutti i suoi avversari: l’idea che in una fase storica come quella in cui viviamo oggi, in cui la grammatica del mondo proporzionale ha preso velocemente il posto della grammatica maggioritaria, abbia ancora un senso usare l’espressione “candidato premier”. Spiace deludere chi ancora ci crede, e spiace dover prendere un po’ a pizzichi chi ancora non si è reso conto che l’Italia proporzionale è una delle conseguenze della vittoria del No al referendum costituzionale, ma prima o poi bisognerà prendere atto del mondo in cui viviamo e del modo in cui voteremo quando sarà.
Alle prossime elezioni, non ci sarà un candidato premier del M5s perché il candidato premier del futuro verrà deciso non dagli iscritti alla piattaforma Rousseau, grazie al cielo, ma da coloro che al momento giusto avranno accesso alle stanze più importanti del Quirinale. Allo stesso modo, in caso di disfatta in Sicilia, non ci potrà mai essere una credibile fronda anti Renzi per candidare come premier Paolo Gentiloni non perché manchino storici volti del centrosinistra pronti a tirare la volata all’attuale premier (da Romano Prodi a Walter Veltroni), ma perché anche nel Pd tutti sanno che in una fase politica in cui le dinamiche della mediazione hanno un peso infinitamente superiore alle dinamiche della rottamazione i veri candidati per Palazzo Chigi saranno quelli che emergeranno dal cilindro un minuto dopo la chiusura delle urne.
In questo senso, parlare di “candidati premier” in un contesto proporzionale non è così diverso dal collocare Pinochet in un contesto venezuelano. Ma le ragioni per cui in molti tendono ad alimentare questa fake news sono differenti l’una dall’altra. Da una parte, il movimento cinque stelle, così come la Lega nord, lo fanno perché non possono ammettere che il No al referendum costituzionale è stato un voto che ha fatto precipitare l’Italia nell’infernetto della Prima Repubblica. Dall’altra parte, Matteo Renzi lo fa perché non può ammettere che la sconfitta al referendum ha creato le premesse per far sorgere un paese in cui la vocazione maggioritaria, espressione a cui il segretario del Pd è affezionato, è purtroppo solo un’utopia per vecchi romantici. Nei prossimi mesi, dal M5s al Pd passando per la Lega, in molti si affretteranno dunque a dimostrare che i candidati premier esistono, nonostante sia ormai chiaro che i candidati premier non esistono più. Tutti i partiti tranne uno, Forza Italia, che per ragioni del tutto paradossali si trova nella condizione migliore per non ingannare i propri elettori: il suo leader non è candidabile e anche per questo, ma non solo per questo, il leader non candidabile non ha alcuna fretta, e forse nessuna voglia, di trovare un candidato premier.
Quando sarà, deciderà tutto Sergio Mattarella. E quando sarà, a meno di exploit oggi del tutto improbabili, la mediazione avrà un valore più importante di una qualsiasi rottamazione. Ed è del tutto probabile infine che il presidente del Consiglio che prenderà la fiducia dal prossimo Parlamento sarà un presidente che avrà una caratteristica del tutto particolare. Nell’epoca del maggioritario, per arrivare a Palazzo Chigi era importante che un leader avesse molti voti nel paese. Nell’epoca del proporzionale, invece, per un leader avere pochi voti nel paese potrebbe essere una condizione necessaria per avere molti voti nel prossimo Parlamento.