A che punto è il sovranista
L'Europa va e il Nord ritorna. Salvini rischia di sgommare a Pontida
L’antieuropeismo frana, tengono banco i referendum di Maroni e Zaia, per gli immigrati c’è Minniti. Serve una linea
Milano. Il 46 per cento degli italiani si sente più insicuro per colpa degli immigrati. A Pontida, comune di tremila abitanti, la percentuale di quanto sarà? E sul Sacro Prato, dove sono state giurate indipendenze secessioni? Domenica la Lega si raduna a Pontida e, come spesso in passato, l’appuntamento annunciato come decisivo si è ridimensionato strada facendo rispetto a quello immaginato qualche mese fa da Matteo Salvini. Non solo per colpa della magistratura che sta bloccando i conti correnti del partito, vecchie storie di Belsito e soci (“vogliono farci fuori, metterci nelle condizioni di non esistere”, ha detto Salvini: c’è sempre un momento per diventare garantisti). Va male, la sua Lega? No. Nei sondaggi estivi è avanti di un punto rispetto a Forza Italia, la popolarità del segretario federale è inferiore a quella di Di Maio, ma zero competitor a destra (Berlusconi permettendo). Salvini, furbo, preferisce dire: “Mi fido dei sondaggi dei supermercati e delle spiagge visitate questa estate. E’ finito il tempo della Lega piccola e al rimorchio”. Nel 2017 la Lega ha già segnato il record di tesseramenti e, dice un comunicato, per Pontida sono “già sold-out i posti sui pullman organizzati dai territori e che partiranno da tutta Italia”.
Doveva essere la Pontida del passaggio definitivo dal partito del nord al partito nazionale e del passaggio della leadership nella centrodestra. Invece la strategia sovranista-populista disperde potenza, come una macchina che slitta sul prato. Innanzitutto, sul vero à-tout politico che Salvini ha a disposizione: l’immigrazione. La faccenda dei parcheggi rosa riservati alle mamme eterosessuali italiane era una tipica idiozia leghista, l’avrebbero fatta anche ai tempi di Bossi, e il segretario ha già provveduto a rettificare: “A me piacciono le mamme tutte, a Pontida verrà modificata la delibera”. Ma, dopo l’estate degli allarmi, l’effetto Minniti sulla gestione dei flussi sta togliendo forza d’urto a Salvini. Poi il fronte degli alleati esterni: franato. La campagna antieuropea langue – del resto, basterebbe chiedere a qualsiasi imprenditore del Nordest che ne pensa – mentre il referendum per uscire dall’euro si è sgonfiato nella passeggiata a Cernobbio.
Pontida doveva essere la svolta nazionale, si era persino ventilato il cambio del nome e dello statuto – l’articolo 1 tuttora recita: “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”, non il massimo per un partito sovranista. Salvini ha già detto che “simbolo e nome resteranno immutati”, anche se il progetto resta “nazionale”. Però, a tenere politicamente banco, saranno i due referendum autonomisti (22 ottobre) promossi dai governatori di Lombardia e Veneto, Roberto Maroni e Luca Zaia. La questione nordista-autonomista, trainata dalla ripresa economica, sta ripartendo, seppure con toni meno esasperati che in passato. Comprese le scaramucce sui vaccini. Notizia di non poco rilievo è che l’unico possibile inciampo sulla via della rielezione del governatore lombardo, un processo per “induzione indebita” (legge Severino), si è virtualmente chiuso mercoledì, con l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” del suo coimputato. E che torni a pesare il nord, e Maroni, nella Lega vuol dire una cosa precisa: che torna il baricentro “governista” e l’alleanza con FI. E Maroni al “modello Lombardia” del centrodestra unito non rinuncia. Su tutto questo, vigila la regia politica di Giancarlo Giorgetti, il consigliere ascoltato che ha traghettato la Lega da Bossi a Salvini, che tiene i rapporti con FI, che ribadisce il no ad Alfano (ma non agli altri centristi), che non vuol sentir parlare di futuri a governi sottomessi ai “diktat” dell’Europa. Ma sul resto lascia intendere che un programma si troverà. Salvini ripeterà, a Pontida, che non si può stare insieme “quando sull’Europa e altro si è così distanti”. Ma rischia di sgommare.