Luigi Zanda (foto LaPresse)

I due binari del Pd

David Allegranti

Renzi e Gentiloni sono in sintonia ma tra i due esiste un non detto, e ce lo ricorda ogni giorno Zanda

Roma. Paolo Gentiloni e Matteo Renzi hanno un rapporto d’amicizia e di stima, nell’entourage dell’attuale presidente del Consiglio lavorano persone che erano a Palazzo Chigi con il segretario del Pd, da Filippo Sensi ad Antonio Funiciello. C’è però un non detto fra i due che ciclicamente si ripropone. Renzi è il capo del partito di maggioranza relativa e prossimo aspirante presidente del Consiglio, sta impostando la campagna elettorale contro Lega e Cinque stelle, cerca di ridurre l’agibilità politica di Salvini e Di Maio e lo fa in tutti i modi possibili, anche a costo a volte di scendere sullo stesso terreno di scontro anti sistema. Gentiloni invece deve occuparsi prima di tutto di governare ma il suo ruolo esecutivo gli consente di prendere decisioni che avranno inevitabilmente una ricaduta sulla campagna elettorale. C’è quindi un non detto naturale, un qualcosa di implicito nel rapporto fra Renzi e Gentiloni, e per capire bene quali sono questi non detti c’è un modo semplice: osservare la traiettoria del più alto in grado tra i parlamentari del Pd: Luigi Zanda. Il capogruppo al Senato riveste un ruolo importante, visto che a Palazzo Madama gli equilibri sono dall’inizio della legislatura precari per la maggioranza. Il problema è come tenere insieme, al netto dell’amicizia fra Gentiloni e Renzi, un’unica linea politica e poi orientarla in mesi decisivi. Zanda, che tiene alta la battaglia contro la “democrazia del clic” del M5s – così descritta in alcune interviste con il Foglio – è ben sintonizzato con la linea gentiloniana di Palazzo Chigi e cerca di accordare la risicata maggioranza al Senato con l’interesse del governo. Solo che l’interesse del governo e quello del Pd possono non coincidere, per opportunità politica e tempistica. Si prenda lo ius soli. Gentiloni ha preso un impegno preciso, e nonostante i rinvii, cominciati prima delle amministrative, il presidente del Consiglio continua a dire che l’approvazione dello ius soli è una priorità del governo.

 

Mercoledì scorso però, alla festa del Pd di Roma, Maria Elena Boschi, che è sì nel governo ma è emanazione tipicamente renziana, ha detto che lo ius soli potrà essere approvato solo nella prossima legislatura. “Se alle prossime elezioni il Pd avrà una maggioranza numericamente più importante, lo ius soli sarà in cima al nostro programma”, ha detto l’ex ministro delle Riforme. Il ministro Graziano Delrio invece dice che “l’autunno è appena cominciato e l’inverno non è ancora cominciato. C’è tempo”, così come Zanda, che non dà per defunta la legge. Al Foglio dice che “se avremo tempo dopo il bilancio si può fare”, ma “prima no”. Giovedì il capogruppo ha visto Gentiloni e al termine dell’incontro ha chiarito che il Pd lavora “con molta serietà” per il varo della legge.

 

Oppure prendiamo il disegno di legge sul vitalizio proposto da Matteo Richetti, già approvato alla Camera e in attesa di essere votato dal Senato. Il capogruppo del Pd ha espresso più volte i suoi dubbi, specificando ogni volta i rischi di profili di incostituzionalità sulla legge. Rischi che peraltro sono tutt’altro che scongiurati. Gli esperti ascoltati nelle audizioni della commissione Affari costituzionali del Senato hanno fatto sostanziose osservazioni. Come Giuseppe Tesauro, che il 26 settembre ha parlato di due profili di incostituzionalità: “La prima attiene alla forma scelta per modificare/abrogare l’istituto dell’assegno vitalizio; la seconda riguarda il contenuto delle proposte e il contrasto con taluni princìpi fondamentali del nostro ordinamento”. Nel primo caso, peraltro, “è possibile sostenere che non sia idoneo il ricorso a una legge ordinaria per modificare l’istituto dell’assegno vitalizio, introdotto e successivamente modificato tramite regolamenti parlamentari”. Anche sulle banche Zanda a marzo aveva espresso la sua contrarietà all’istituzione di una commissione d’inchiesta. “Credo che sia necessario riflettere su quel che ci si può aspettare da una Commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema bancario che lavori durante una campagna elettorale molto lunga”. “Nella battaglia elettorale riuscirebbe, la Commissione, a trovare la verità? Lavorerebbe nel reale interesse dei risparmiatori? Oppure sarebbe usata come arma di campagna politica?”. A insistere molto per la nascita della commissione era stato proprio Renzi, convinto che il Pd, a differenza dei suoi amici a sinistra del Pd, non abbia nulla da nascondere. Adesso la commissione è insediata e Casini la presiede e chissà su questo fronte chi avrà l’ultima parola tra Renzi e Gentiloni. Nel dubbio seguiremo il senatore Zanda.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.