Le due bandiere che mancano al Pd per pensare ai prossimi dieci anni
Il Pd arriva al suo decimo compleanno con alcuni successi, diverse ferite e due punti su tutti da chiarire, più importanti del rapporto con D’Alema: la cornice dell’Europa, il tabù della giustizia. Piccolo stress test su cosa significa essere oggi progressisti
La speranza è l’Europa, il problema è la giustizia. Il prossimo quattordici ottobre il Partito democratico compirà dieci anni di vita e molti militanti di quello che è attualmente il più grande partito d’Italia, il più importante partito progressista d’Europa e il più grande partito di questo Parlamento, in modo più o meno inconscio oggi si trovano di fronte a una domanda di questo tipo: non tanto cosa resta del Pd rispetto a dieci anni fa, quanto cosa può fare oggi il Pd per far sì che Renzi non sia l’ultimo segretario di questo partito. Rispetto a dieci anni fa, il Partito democratico si trova in una situazione insieme felice e pericolosa. Felice perché il progetto di partito incarnato da Renzi, anche grazie a una rivoluzione messa in campo dal segretario del Pd, riflette in modo esplicito e diretto quello che fu il sogno originario del Pd, ovvero sia essere un partito che rinuncia alla sinistra di mera rappresentanza per scommettere su una sinistra di governo – idea incarnata anche nella sovrapposizione naturale tra il ruolo di segretario del Pd e quello di candidato premier – puntando a essere sotto vari punti di vista un argine contro ogni forma di populismo e una garanzia per il ceto produttivo del paese. Per varie ragioni che passeremo in rassegna nei prossimi giorni, il Pd oggi è un partito che segue delle coordinate che gli permettono di trovarsi dalla parte giusta della storia ma che al tempo stesso si trova all’interno di un contesto storico in cui l’idea stessa di Pd sembra essere incompatibile con la fase attuale in cui si trova il paese. Il Pd era nato per semplificare il sistema politico italiano e mettere in campo una solida e forte vocazione maggioritaria e oggi quella cornice non esiste più.
La bocciatura del referendum costituzionale ha reso la vocazione maggioritaria un sogno per vecchi romantici e l’impossibilità di aver garantito un quadro politico capace di favorire più la competizione che il logoramento dei partiti non è il miglior alleato per un contenitore politico che scommetteva prima di tutto sulla semplificazione. Per quanto ci si possa girare attorno il Pd aveva un senso chiaro in un contesto maggioritario mentre in un contesto in cui il maggioritario rischia di essere solo un sogno potrebbe non avere più un senso. Ci sarà tempo per fare uno stress test del Partito democratico. Ma più che parlare del passato (la scissione della sinistra di lotta e meno di governo era forse un passaggio naturale che prima o poi si sarebbe dovuto verificare e non è detto che per il Pd sia un rischio e non un’opportunità quella di essere alternativo alla sinistra della nostalgia), in questo caso conviene provare a fare uno sforzo per immaginare il futuro, e per capire che direzione potrebbe avere il Pd ci sembra che le chiavi di lettura importanti oggi siano due: quale può essere il nuovo sogno da inseguire e quale deve essere la catena giusta da spezzare. Il nuovo sogno, il grande collante intorno al quale possono riunirsi le forze del riformismo italiano, è quello che abbiamo provato a descrivere negli ultimi giorni sul Foglio e di cui si è cominciato a parlare in modo sempre più deciso: l’Europa. Al contrario di quello che si potrebbe credere, parlare di Europa non è una supercazzola pigra per guardare al passato invocando lo spirito sognatore dei fondatori dell’Europa.
Guardare all’Europa significa qualcosa di più importante: convincersi senza tentennamenti che l’unico modo per essere alternativi fino in fondo ai nuovi e vecchi sovranismi è sfidare il protezionismo politico, economico e culturale in un modo semplice e lineare: spiegando cioè che l’unico modo per governare la globalizzazione è aggiornare i confini della globalizzazione, non cedere al nazionalismo. La scommessa dell’Europa dunque non è solo una scommessa retorica legata al sogno (e un po’ al sonno) degli Stati Uniti d’Europa ma è una scommessa più grande che si ritrova più nelle parole di Mario Draghi che di Altiero Spinelli: stare insieme in Europa, ripete spesso Draghi, non è un modo di perdere il controllo ma “è precisamente un modo di assicurarsi il controllo di eventi che gli Stati nazionali, agendo da soli non possono più influenzare”. Da questo punto di vista, per un partito come il Pd, trasformare l’Europa in una bandiera, inserendo come suggerito dal Foglio le dodici stelle dell’Europa come alternativa naturale alle cinque stelle grilline, potrebbe essere un modo per mettere in campo, senza paura, una propria identità, evidenziando chi, al contrario, non ha il coraggio di scommettere sull’Europa. Il futuro si trova lungo questo orizzonte (e anche Berlusconi sotto sotto sa che il futuro di ogni partito responsabile deve essere l’Europa) e lo stesso Matteo Renzi sembra essere intenzionato a tradurre sempre più in italiano l’en marche di Macron (speriamo). Dall’altro lato però non si può parlare del futuro del Pd senza segnalare quello che oggi è il vero buco nero della cultura democratica: ovvero il rapporto con la magistratura. Matteo Renzi, più di qualunque suo predecessore alla guida di un partito di sinistra (c’è un abisso tra un partito che scarica un Penati per un’indagine caduta nel nulla e un partito che considera innocenti fino a prova contraria i suoi dirigenti e non solo), sta sperimentando sulla sua pelle (e sulla pelle della sua famiglia) quali sono i rischi di un sistema giudiziario che offre ai magistrati d’assalto gli strumenti giusti per portare avanti indagini basate più sui teoremi che sulle prove e non c’è dubbio che, almeno a parole, il segretario del Pd abbia fatto fare un salto importante in avanti alla sinistra italiana, rivendicando la necessità per la gauche di non regalare alla destra la cultura garantista.
Eppure, proprio negli ultimi giorni la scelta fatta dalla maggioranza di questo Parlamento, a guida Pd, di estendere ai reati in materia di corruzione le estreme misure di polizia già adottate per il contrasto al fenomeno mafioso – ha ragione il presidente di Confindustria Enzo Boccia quando dice che “con il nuovo codice antimafia si equipara l’attività degli imprenditori a quella dei delinquenti" e quando ricorda che "la presunzione di colpevolezza che la norma contiene stravolge i principi costituzionali e per l’alta discrezionalità che concede mina il bene assoluto della certezza del diritto" – è una spia di un problema non del tutto risolto, come ha notato bene un noto avvocato milanese, amico di questo giornale: “La subalternità del Pd per più di venti anni alla incultura giustizialista in questo paese ci consegna questo ennesimo disarmante errore, anche oggi quando nel senso comune si è ormai colto che in materia di misure repressive serve attenzione, discernimento, professionalità e fatica, perché è davvero facile sbagliare o, peggio, abusare degli strumenti repressivi. E serve buona giurisdizione, non solo azione di polizia investigativa”. Senza chiarire fino in fondo cosa vuole dall’Europa, il Pd non ha futuro. Senza risolvere fino in fondo il dramma dello squilibrio tra potere giudiziario e potere politico, il Pd andrà a fondo. Ci si può girare attorno quanto si vuole e si possono fare tutte le considerazioni che si credono, ma per capire i prossimi dieci anni della sinistra italiana forse conviene partire da qui.