Raggi va finalmente da Calenda e gli dice: "Mi dia del lei"
Al ministero dello Sviluppo Economico il faccia a faccia tra il sindaco di Roma e il ministro. Venticinque minuti, forse tra i più surreali nella storia degli incontri istituzionali
Roma. Venticinque minuti, forse tra i più surreali nella storia degli incontri istituzionali. E se al fondo di tutto non ci fosse Roma, con i suoi guasti e il suo declino industriale, se ne potrebbe sorridere. E’ tardo pomeriggio quando Virginia Raggi fa il suo ingresso al ministero dello Sviluppo, in via Veneto, dove da circa due settimane la attende Carlo Calenda, il ministro che tenta di far passare questo benedetto piano industriale per il rilancio di Roma ma incontra la freddezza del Pd e la confusione inafferrabile del M5s. In sintesi il tavolo doveva tenersi già l’altro ieri, il 4 ottobre, ma prima Raggi non rispondeva alle lettere di convocazione, poi continuava a non rispondere nemmeno a telefono (“pronto sono il ministro, c’è il sindaco?” “Uhm, mo’ vediamo”), e infine, soltanto quando Calenda si è lamentato con la stampa, la sindaca si è fatta viva con un sms.
E insomma il sindaco Raggi finalmente arriva al ministero, indossa un sorriso stirato e a Calenda che le offre il “tu” oppone immediatamente il “lei”, come una barriera. Si comincia male. E si prosegue male. Per i primi cinque minuti, Raggi, con uno sguardo vuoto puntato sul nulla, monopolizza la conversazione abbandonandosi a un pistolotto il cui senso pare sia stato, all’incirca: sono offesa che “lei” abbia raccontato ai giornalisti che non rispondevo… E qui ci si può soltanto immaginare l’espressione del povero Calenda, che deve aver pensato di aver a che fare con una ragazzina di quindici anni. Impressione probabilmente rafforzata dal seguito della conversazione, quando la sindaca pare abbia insistito nel chiedere poteri speciali per Roma (“vorrei che al tavolo partecipasse anche Gentiloni”), del tutto sorda alle preghiere del ministro che tentava di spiegarle come la questione riguardi un piano d’interventi economici mirati per fare fronte alla crisi di Roma e che tutto questo non ha niente a che fare con l’assetto istituzionale della capitale d’Italia. Ma niente. E il fatto è che la sindaca, prima di entrare da Calenda, era stata istruita, si fa per dire, da Luigi Di Maio, il quale le aveva spiegato come comportarsi, con parole che suonavano all’incirca così: non sei quella che va a prendere istruzioni dal governo di centrosinistra, e non devi comportarti come la piccola sindaca. Tu sei una rappresentante del M5s, la forza politica che potrebbe andare a governare il paese già dalla prossima legislatura.
Tutto un fervorino, questo di Di Maio, che Virginia ha però interpretato a modo suo, ovvero assumendo un incongruo atteggiamento di sfida nei confronti di un ministro tecnico che sta provando a lanciare un piano di aiuti economici a Roma sostanzialmente contro il parere del Pd, il partito che con minore infantilismo della sindaca ha capito benissimo quanto il piano Calenda (se solo i cinque stelle romani sapessero fare politica) potrebbe essere sfruttato a vantaggio della Raggi. Ma Virginia questo non l’ha capito. Non lo sa. Lei è evidentemente al di là del bene e del male.
E infatti, a un certo punto, avviene uno scambio su questo tono. Calenda, sorvolando sulle richieste di cambiare la Costituzione e su quelle di coinvolgere il presidente del Consiglio (e perché non quello della Repubblica o quello degli Stati Uniti?), cercando insomma di tornare sulla terra, dice alla Raggi che esiste per esempio un problema grosso a Roma est, dove sussistono gli estremi per lanciare uno stato di crisi industriale, “potremmo intervenire subito”, le dice in tono collaborativo. E la Raggi: “Di questo si occupano i tecnici”. Gelo in sala. Svenimenti. Persino l’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, l’ex cassiere di discoteca che è rimasto in silenzio per tutto il tempo, ha un piccolo sussulto. Lunedì ci sarà un primo incontro tra i tecnici. Mercoledì la sindaca farà finalmente avere al ministero un documento con delle proposte. Tutti pensavano che fossero pronte dal 24 giugno, quando venne lanciata in pompa magna “Fabbrica Roma”. E invece niente. Dicono alcuni sindacalisti: “Quel documento in realtà è vuoto. Non c’è scritto nulla”.