Massimo D'Alema (foto LaPresse)

D'Alema, la costola che incrina la sinistra

Claudio Cerasa

C’è una sinistra che è uscita dal Pd per meglio combattere Renzi. Ma l’unico leader che ha trovato, Pisapia, era pro referendum e preferisce Renzi alle follie di una sinistra che si candida a perdere. E apparecchia la strada a Di Maio

E se la chiave giusta per capire i drammi, gli scazzi e gli spassi della sinistra italiana fosse diversa dalla solita storia dello scontro tra le due sinistre (Ezio Mauro, Aldo Cazzullo ieri) e fosse più simile a quella offerta qualche giorno fa dall’allenatore della Roma, Eusebio Di Francesco? Riavvolgiamo velocemente il nastro e proviamo a capire qualcosa di più su uno dei film comici di questa stagione politica, ovvero il rapporto tra Massimo D’Alema e Giuliano Pisapia, gli Stanlio e Ollio della sinistra italiana. La storia se ci pensate è fantastica.

 

Un pezzo del mondo progressista italiano, dopo aver azzannato da dentro il Pd il segretario del Pd, a un certo punto della sua storia decide di rinunciare a combattere il segretario del Pd da dentro il Pd e sceglie così di porsi come unico obiettivo politico la demolizione del segretario del Pd fuori dal Pd, con tutti i mezzi possibili. Questo pezzo di sinistra italiana, molto illuminata, esce sostanzialmente dal Pd durante la campagna per il referendum costituzionale e molla formalmente il Pd all’inizio di quest’anno, il 2017, scegliendo di porsi in aperta contrapposizione alla linea del segretario del Pd, che da sempre starebbe tramando per far cadere il governo a guida Pd. La sinistra a sinistra del Pd – uscita dal Pd per dare alla sinistra un’alternativa a quel Pd orrendo che avrebbe distrutto la storia della sinistra italiana appoggiando il Sì al referendum costituzionale – una volta uscita dal Pd si guarda intorno smarrita (‘ndo annamo?), si rende conto che fuori dal Pd (ops) esistono un numero di sinistre persino più litigiose delle correnti del Pd (ri-ops) e così i principali esponenti delle sinistre uscite fuori dal Pd per dare un’alternativa alla sinistra che si sente distante dal Pd decidono di scommettere tutto su un politico di nome Giuliano Pisapia. O lui o niente. Bon. Giuliano Pisapia, persona il cui garbo è notoriamente inversamente proporzionale al suo carisma, ha però un piccolissimo difetto (ari-ops) che lo rende di giorno in giorno sempre meno appetibile per la sinistra a sinistra del Pd uscita dal Pd per protestare contro la linea scelta dal Pd sul tema del referendum costituzionale (ci siete, sì?). Pisapia è stato infatti uno dei principali sostenitori del referendum costituzionale (ops) e il fatto che a otto mesi dalla sua scissione la sinistra uscita dal Pd per dare un’alternativa alla sinistra del Pd consideri come unico leader credibile per rappresentare questa sinistra un leader che ha sostenuto la stessa posizione dell’odiato Renzi durante la campagna referendaria potrebbe essere l’indizio di un’altra storia che la sinistra ogni giorno fa finta di non cogliere.

 

Ovverosia: ma se l’unica alternativa al leader della sinistra pro referendum è il leader di una sinistra pro referendum non è che il problema della sinistra fuori dal Pd è la sua stessa indefinibile e impossibile identità? Il suo essere non tanto fuori dal Pd ma piuttosto fuori dal mondo?

 

I mesi passano, le divisioni aumentano, le indecisioni di Pisapia si moltiplicano e si arriva così alla situazione di oggi in cui per l’ennesima volta un leader a capo di una delle molte sinistre passate per il campo progressista italiano si ritrova di fronte a un bivio: scegliere se darla vinta a D’Alema o scegliere se rinunciare a D’Alema. Rinunciare a D’Alema, lo sa bene Romano Prodi, lo sa bene Walter Veltroni, lo sa bene Pier Luigi Bersani, lo sa bene Dario Franceschini, lo sa bene Matteo Renzi, lo sa bene oggi Giuliano Pisapia, è da sempre una delle principali preoccupazioni di ogni leader recente della sinistra italiana (capotavola è dove mi siedo io) ma per la prima volta nella storia della sinistra italiana esiste un leader che potrebbe dare finalmente un colpo da ko all’ex presidente del Consiglio. E quel leader è lo stesso sul quale la sinistra italiana (sulla quale ha puntato forte D’Alema) scommette da mesi per riportare D’Alema in Parlamento. Proprio lui: Giuliano Pisapia. In questo senso, il colpo da ko potrebbe coincidere con il portare avanti (davvero) un’idea accennata mercoledì mattina dall’ex sindaco di Milano che è quella di rinunciare a D’Alema. Ma rinunciare a D’Alema non significa rottamare, come si sarebbe detto un tempo, la storia di un politico che passerà probabilmente alla storia più per il suo vino prelibato che per il suo fiuto politico (“E’ impensabile che il dottor Berlusconi entri in politica. Deve occuparsi dei suoi debiti. Stia fermo, tanto prenderebbe pochi voti: non siamo mica in Brasile”. “Nichi Vendola è l’unico in grado di rilanciare un’idea di sinistra in chiave moderna”. “Se vince il No al referendum, in questa legislatura, c’è il tempo per fare una riforma limitata, chiara. Si può fare una riforma di tre articoli. Per approvarla ci vogliono sei mesi”). Rinunciare a D’Alema significa al contrario archiviare una serie di ombre che se non eliminate dalla storia della sinistra italiana continueranno a seguire come uno spettro chiunque si dica di sinistra nel nostro paese.

 

Perché in Italia, a differenza di altri paesi dell’Europa, non esiste uno scontro tra due sinistre. Esiste, da tempo, uno scontro tra una sinistra di governo che sa distinguere tra nemici e avversari e una sinistra che considera invece eretica (“di destra”) l’altra sinistra e che sogna non di batterla ma di squalificarla, di spazzarla via dalla faccia del mondo. Il colpo da ko probabilmente non ci sarà, perché ogni volta che la sinistra italiana deve prendere una scelta preferisce prendere la scelta di non prendere nessuna scelta rifugiandosi in una comoda e morbida scissione. Ma se Giuliano Pisapia (uomo alternativo a Renzi ma che considera Renzi non un nemico da abbattere ma un avversario con cui dialogare) volesse dimostrare che la sinistra nata a sinistra del Pd non è solo una sinistra nata per spazzare via Renzi dalla faccia della terra dovrebbe avere il coraggio di fare quello che non farà: fare i conti con il fatto che la sinistra rappresentata da D’Alema (e purtroppo anche da Bersani) oggi è inequivocabilmente una costola del grillismo.

 

Fateci caso. Non sentirete mai un D’Alema (e purtroppo anche un Bersani) attaccare un Di Maio o una Raggi con la stessa violenza con cui un D’Alema (e un Bersani) attaccherebbero un Renzi o una Boschi perché la sinistra gruppettara che scommette più sull’essere di rappresentanza che sull’essere di governo è una sinistra che ha (drammaticamente) infiniti punti di collegamento con la sinistra grillina. Le visioni sul mercato del lavoro. La tendenza all’assistenzialismo. L’incapacità ad affrontare gli avversari senza demonizzarli. La propensione naturale al rigetto di una cultura garantista. La trasformazione dei magistrati in custodi supremi della questione morale. Il giustizialismo utilizzato come arma finale di riscatto sociale. La costante rappresentazione della politica italiana come un circo in cui la vera divisione è tra onesti e disonesti. La cultura del pessimismo utilizzata come un’ascia per tagliare a metà la testa al nemico di turno. La rappresentazione cupa di un paese che porta acqua all’industria dell’emergenza. Ci si può girare attorno quanto si vuole ma la ragione vera e profonda per cui D’Alema non trova pace con tutti coloro che hanno guidato la sinistra italiana negli ultimi vent’anni di storia del nostro paese (tranne quel piccolo passaggio in cui a guidare la sinistra italiana fu lo stesso D’Alema) è che la storia di cui il conte Max è portavoce è una storia compatibile più con i movimenti di lotta che con i partiti di governo. Da questo punto di vista, dunque, una sinistra alternativa al Pd e alternativa anche al populismo gruppettaro e manettaro e davighiano potrebbe esistere e avere un suo piccolo spazio solo a una condizione: non rottamando D’Alema (in fondo fa un ottimo vino) ma semplicemente archiviando la sua storia. E’ dura ammetterlo per entrambi ma Beppe Grillo e Massimo D’Alema sono i veri gemelli diversi della politica italiana e se Giuliano Pisapia avesse ancora un briciolo del coraggio messo in campo da sindaco di Milano dovrebbe convocare subito in una stanza tutti i pezzi grossi della sinistra italiana e utilizzare con loro le stesse parole utilizzate qualche giorno fa dall’allenatore della Roma (che da quando è stato scomunicato da D’Alema non perde una partita) per liquidare D’Alema: “Quando mi servirà un consiglio su come vincere qualcosa chiederò a Massimo D’Alema che in campo di vittorie è come è noto un esperto mondiale”. Diciamo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.