Le sacrosante ragioni per votare Sì al referendum lombardo-veneto
Di fronte al rischio di precipitare in un baratro finanziario e sociale senza un valido progetto politico per il futuro, le istanze autonomiste possono diventare un “vincolo interno” più efficace del fallito “vincolo esterno”
Al direttore - Domenica prossima veneti e lombardi si recheranno alle urne e tutta Italia dovrebbe fare il tifo per una clamorosa affermazione del Sì vista l’importanza dell’appuntamento per il futuro dell’intero paese, gravemente sottovalutata. Il referendum è diventato indispensabile per la renitenza dello stato a concedere maggiori dosi di autonomia alle regioni come previsto con la modifica costituzionale del 2001, mai attuata: è una pia illusione ottenere concessioni significative senza spinta popolare. I veneti hanno solo vantaggi dal votare Sì, in virtù della maggiore efficienza dell’amministrazione regionale rispetto a quella statale. La dimostrazione viene anche dall’adesione al Sì da parte di tutte le principali forze politiche. Come detto, ci sembra che gli italiani non abbiano per nulla compreso come quel referendum rappresenti un’occasione straordinaria per riprendere seriamente il progetto di aggiornamento della architettura dello stato in senso federale. Perché lo dovremmo fare? Semplicemente perché il mondo mostra con evidenza inequivocabile qual è il modello di governo più efficiente: salvo rare eccezioni, il modello che funziona e garantisce libertà, sicurezza, benessere ed efficienza, è strutturato in forma di stati indipendenti o federati, ovvero regioni con spiccata autonomia aventi dimensioni e popolazione tra quelle del Veneto e della Lombardia.
E’ interminabile l’elenco di questi paesi o regioni ben governati con una popolazione compresa tra i 5 e i 10 milioni di abitanti, solo per citarne alcuni: Austria, Svezia, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Svizzera, Israele, Nuova Zelanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, ma in questo novero si devono altresì considerare i länder tedeschi (16), nonché gli stati e regioni che compongono gli Stati Uniti (50), il Brasile (27), il Canada (13), l’Australia (6). La costituzione repubblicana è stata redatta quando non esisteva la prospettiva di una comunità europea, che oggi è un’Unione cui fanno capo estese fette di sovranità trasferite dagli stati nazionali. Non solo i tempi, l’economia, la società, ma anche l’attuale struttura degli accordi internazionali europei, Nato, Wto, rendono indifferibile un’opera di aggiornamento costituzionale e istituzionale. Le costituzioni sono uno strumento, non un fine. Tale necessità per il paese è resa ancor più indifferibile dalla situazione di impasse politica e incapacità di risanamento in cui si trova l’Italia dopo che anche il “vincolo esterno” ha fallito nell’impresa di riformare l’Italia e lo stesso progetto di un’Europa “unionista” e “assimilazionista” sta rovinando sotto i colpi della sua stessa impraticabilità sanzionata dal crescente rigetto degli europei espresso nelle urne, per non dire con la clamorosa uscita della Gran Bretagna.
Di fronte al rischio concreto di precipitare in un baratro finanziario e sociale senza un valido progetto politico per il futuro, oggi inesistente, le istanze autonomiste delle popolazioni italiane più sentitamente autonomiste possono diventare un “vincolo interno” assai più efficace ed effettivo del fallito “vincolo esterno”, oggi ridotto a una serie di accordi velleitari come il Fiscal Compact, sistematicamente disattesi dall’Italia. Se il referendum riuscisse a ottenere un consenso elevato, nascerebbe una “questione veneta” a effetto positivo: lo stato italiano si troverebbe di fronte al dilemma se concedere importanti dosi di autonomia, oppure riformarsi seriamente per non veder crescere le spinte autonomiste o addirittura indipendentiste che nel tempo potrebbero estendersi ad altre popolazioni della penisola. Una crescente fiducia e consapevolezza della situazione potrebbe portare a ulteriori spinte per la estensione dello statuto speciale a un numero maggiore o a tutte le regioni. E’ possibile che la prospettiva descritta pecchi di ottimismo, ma la prego di credere che dopo decenni di esperienza imprenditoriale nel mondo e altrettanti anni di appassionata partecipazione alla vita istituzionale e politica in ambito comunitario, nazionale e locale, questa appare non solo come l’unica speranza per garantire un futuro al nostro paese ma anche come una formidabile e avvincente sfida in grado di mobilitare e liberare le straordinarie risorse dei nostri connazionali che la repubblica italiana sta avvilendo senza alcuna prospettiva. Già oltre 120 mila italiani lo scorso anno hanno preferito emigrare: sono sempre di più e lo saranno anche in futuro quando l’unica prospettiva, in assenza di speranza, sarà andarsene.
Roberto Brazzale