Denis Verdini (foto LaPresse)

Tra ius soli e alleanze, il problema di Mdp è avere fiducia in Verdini

David Allegranti

Il leader di Ala rivendica il suo ruolo (di maggioranza) in tutta la legislatura. Adesso è la sinistra-sinistra che deve scegliere

Roma. La politica è arte del compromesso, dice Denis Verdini nel suo intervento al Senato, limato fino all’una di notte insieme a Riccardo Mazzoni e Massimo Parisi, il primo senatore, l’altro deputato, entrambi toscani e fieri alfieri del verdinismo. I Cinque stelle ululano, i demoprogressisti ridono. Il Rosatellum 2.0, intanto, passa: 214 voti a favore, 61 no e 2 astenuti. I verdiniani votano sì e il capo di Ala dà lezioni di realismo politico

 

“Dicono che la legge sia figlia mia, il che non mi dispiace, però direi che forse è nipote, perché era un’idea che è stata poi sviluppata. E’ una legge necessariamente frutto di un compromesso, ma onestà intellettuale vorrebbe che si aggiungesse a ciò che tutta questa legislatura è stata un compromesso, un grande compromesso”. Troppo spesso, dice Verdini, “si finge di dimenticare il risultato del 2013: elezioni che non produssero una maggioranza politica. Le alternative erano o sciogliere le Camere o cercare un punto d’incontro tra le forze politiche responsabili. Ebbene, c’è stato quel compromesso e oggi si dice che si è realizzata una maggioranza con l’uscita di Articolo 1 – Mdp e con il nostro ingresso. Non è vero. Non è vero, perché noi c’eravamo, ci siamo stati e ci saremo fino all’ultimo giorno della legislatura”.

 

Verdini ricorda il voto favorevole alle unioni civili, “e avremmo votato anche la stepchild adoption, così come voteremo il testamento biologico, quando e se arriverà in Aula. Siamo quelli che hanno contribuito a mettere in sicurezza i conti pubblici, votando i Def senza essere in maggioranza, ‘ministri senza portafoglio’”. Il senatore annuncia che voterà pure lo ius soli. Una dichiarazione che ha due effetti: costringe la sinistra ad ammettere che adesso dovrà votare con l’“impresentabile” Verdini e il Pd a dire, ufficialmente, che lo ius soli va approvato con la fiducia. Luigi Zanda, presidente dei senatori del Pd, lo chiede nel suo intervento. E la sinistra che fa ora? Lo vota lo ius soli o no? “Le unioni civili le abbiamo approvate con Verdini – dice il senatore del Pd Bruno Astorre – e se anche lo ius soli lo approviamo con Verdini voglio vedere tutti questi della sinistra che si stracciano sempre le vesti sui voti di Verdini cosa possono dire…”. La sinistra dopo le parole del capo di Ala dunque è costretta a uscire allo scoperto: Bersani spiega di “essere pronto a votare la fiducia sullo ius soli, anche con Verdini”, così come Miguel Gotor, ideologo di Mdp, “senza problemi. La questione dello ius soli – dice Gotor al Foglio – è troppo importante e decisamente superiore alle bagattelle fra noi e Verdini. Poi, certo, ho una difficoltà semantica e logica a chiamare ‘centrosinistra’ una cosa che ha dentro il partito di Alfano e anche Verdini. Ora non va più di moda ma un tempo si sarebbe chiamato partito della nazione. Ora direi che è il partito della fazione, ed è pure perdente”. Insomma, c’è compromesso e compromesso: il compromesso sul Rosatellum non va bene, sullo ius soli sì. E Gianni Cuperlo, deputato della minoranza del Pd, cordialmente ostile al verdinismo, dice che il voto di fiducia sullo ius soli è apprezzabile e lo appoggerebbe. Anche con i voti di Verdini? “Anche con i voti di Fratoianni, che ha annunciato un sì tecnico. Capisco la ratio della domanda, ma la questione riguarda le alleanze strategiche. Il Pd non può fondare la sua offerta di governo su una esplicita e rivendicata alleanza futura con pezzi della destra, perché cambierebbe la sua natura”.

 

Il punto dunque è: il Rosatellum conduce naturalmente alle coalizioni, ma il Pd la coalizione non ce l’ha. Quindi va costruita. Potrà bastare lo ius soli per imbastire un dialogo fra Pd e Mdp? Pare difficile. Anche perché il presidente del Senato Pietro Grasso ha appena annunciato le dimissioni dal gruppo del Pd ed è possibile che si candidi a guidare il nascente cartello elettorale della sinistra (con passo indietro di Giuliano Pisapia). Matteo Orfini, presidente del Pd, spiega che “sulla legge specifica, certo”, quanto al resto è tutto da vedere. Più problematico Lorenzo Guerini. Mentre Matteo Ricci, responsabile enti locali della segreteria nazionale del Pd, al Foglio spiega in un’intervista (vedere sotto, ndr) che nonostante gli attacchi dei bersaniani è anche sullo ius soli che si può far partire un’alleanza. Il tutto, pensate un po’, anche per merito di Verdini.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.