Cavour, Dillinger e l'opportunista percepito
Grasso uomo di stato e Verdini saltafossi? E' vero il contrario. La percezione è una brutta bestia (anche per la Catalogna): la realtà si dovrebbe leggere in un altro modo
E’ tutta una questione di percezione. Unicamente di percezione. “Sola perceptione”, avrebbe scritto Lutero, invece che “sola fide”. L’uomo di stato Denis Verdini si è difeso dal giornalista di Repubblica Filippo Ceccarelli con un magistrale corsivo. Ceccarelli lo percepisce come un incrocio tra Mefistofele e Guicciardini, tra il Diavolo e un moralista del Cinquecento, dunque. Io vedo in Verdini, vecchio amico, una cosa a metà tra Cavour e Dillinger, John Dillinger, l’eroe popolare della rapina alle banche che fu tradito e ucciso a trentun anni, nel luglio del 1934, dai pistoleros di J. Edgar Hoover, il superpoliziotto federale che farà a tempo a scrivere dei memos inutili dopo l’assassinio di Kennedy (carriera lunga). Ora a Dillinger, che evadeva cantando canzonette come fa sempre Verdini al telefono con Lotti, è dedicato un museo. Finirà così anche con Denis, prima o poi.
La parte che attiene a Cavour è sotto gli occhi di tutti. Verdini ha ideato e stabilito le condizioni del famoso connubio detto del Nazareno, ha dato all’Italia una legislatura caratterizzata da stabilità, un paio di leggi elettorali compresa l’ultima, e una prospettiva di governo riformista possibile dopo l’esperienza di un governo riformista serio, i tre anni di Renzi insediato dall’accordo con Berlusconi. Ha generato il fenomeno politico ovvio per i conoscitori della politica italiana e dell’ideologia italiana, la staffetta Berlusconi-Renzi, che aveva una sua logica, sue motivazioni palesi, che affondava le sue radici nella civiltà dei rapporti politici che erano sfuggiti al becerume dell’antiberlusconismo, e che ha fatto di Roma il laboratorio di sperimentazione di quanto è poi accaduto con Macron a Parigi, con ben altre istituzioni e ben altra cultura politica alle spalle. E mentre Verdini spiegava sarcastico in Senato come erano andate le cose, e quanto poco gli si addicesse la maglia dell’opportunista e del voltagabbana, il presidente dell’assemblea se ne andava bruscamente e furbamente dal Pd e raggiungeva una formazione concorrente per un viaggetto elettorale che Dio glielo lo raccomandi.
Grasso uomo di stato e Verdini saltafossi? E’ vero il contrario. Tutti sanno che Grasso vale poco, come figura politica, zero idee, zero fatti, zero esperienza, zero consenso; ha vinto la lotteria del Senato perché Bersani cinque anni fa voleva vincere quella, demenziale, del governo di cambiamento con Beppe Grillo, e lo ha messo lì come testimonial della famosa società civile alla vigilia delle trattative che poi si risolsero in una farsa; dopo aver scaldato la sedia per cinque anni, grazie a Verdini e alla stabilità della legislatura, Grasso si è guardato d’attorno, come il più prevedibile degli opportunisti di infimo cabotaggio, e ha deciso che gli conveniva fare una sceneggiata contro Renzi, in gravi difficoltà, per diventare il testimonial di D’Alema e soci. Con tipi come D’Alema e Grasso staremmo ancora ad aspettare l’articolo 18, la ripresa dell’economia, le riforme di mercato che l’hanno resa possibile, e tuttora aspettiamo da questi lumaconi la riforma istituzionale che il fronte del “no” al referendum ha promesso di fare in sei mesi.
Eroe popolare del crimine per aver gestito una banca cooperativa senza aver fatto perdere un euro a nessuno, vittima di una vigilanza occhiuta e severa che ha svenduto il bene per un pugno di lenticchie bancarie o politiche, Denis Dillinger con il suo connubio ha fatto quel che Cavour aveva fatto alleandosi con la sinistra di Rattazzi, ha fatto politica nel senso più alto ed efficace e realista del termine. E un paese rimbecillito e immorale ora si prende lo statista antimafia che un giorno voleva dare l’Oscar della lotta al crimine a Berlusconi, scherzetto da prete, e molla l’opportunista che a Berlusconi aveva restituito per la giusta causa di un paese alla deriva da rimettere sui binari la sua agibilità di uomo politico. Sola perceptione.
Lo stesso vale per la Catalogna. Che cosa è successo si sa. Un gruppazzo di anarco-romantici irresponsabili, nel quadro della grottesca fuga dei ricchi e famosi dalla solidarietà nazionale spagnola, ha issato lo stendardo della libertà, dell’autogoverno, della Repubblica. Sola perceptione, sono loro ad avere partita vinta. Perché dall’altra parte c’è una monarchia che non eccita, un governo che deve mettere sotto tutela una regione in piazza, perquisizioni, minacce di arresto e processo, tutto un armamentario di giuste misure a difesa della Costituzione e della legalità che però si infrange contro la percezione. Processare Puigdemont per “ribellione”, questa parola sacralizzata da legioni di imbecilli che obbediscono come caporali al politicamente corretto, e da folle di sognatori che mettono in fuga imprese e mercati e altri fattori di civiltà sociale e politica in favore di profie col cerchietto catalanista. C’è da sperare che l’unionismo e il patriottismo costituzionale abbiano la forza di farci percepire qualcosa di più delle sanzioni amministrative contro i ribelli, altrimenti siamo fritti e questi rischiano pure di vincere le elezioni in mezzo a una messinscena separatista e repubblicana, tra falsi feriti e false manette. La percezione è una brutta bestia, bisognerebbe che la valutazione della realtà, l’analisi concettuale e sperimentale, induzione e deduzione, ridiventassero gli strumenti di lavoro della società. Vasto programma.