Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Cosa significa per Renzi, Di Maio e Salvini la salita in cattedra di Mattarella

Claudio Cerasa

La partita su Visco, le mosse sulla legge elettorale, il feeling con Gentiloni e le coordinate per la prossima legislatura. Leggere gli ultimi discorsi del presidente della Repubblica per capire cosa intende il capo dello stato per lotta contro il populismo (e per capire cosa ci aspetta nel prossimo governo)

La notizia politica della scorsa settimana, o forse dell’ultimo mese, o forse dell’ultimo anno, non è stata tanto l’approvazione della legge elettorale, la riconferma di Ignazio Visco, la spallata ricevuta da Renzi sul dossier di Bankitalia, ma è stata, come abbiamo già scritto, la notizia della discesa in campo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Mattarella ha vinto la sua partita sulla legge elettorale, creando un nuovo arco costituzionale. Ha vinto la sua partita sulla riconferma di Visco, dimostrando che quando il Quirinale decide una cosa non c’è piazza che gli possa far cambiare idea. Ha vinto la sua partita con Matteo Renzi, investendo di una funzione diversa rispetto al passato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, oggi più che mai simbolo potenziale non solo di una continuità ma anche di una discontinuità con Renzi. Ha vinto la sua partita con Beppe Grillo, dimostrando che anche per un presidente paziente come Mattarella la pazienza ha un limite e che una volta che un partito populista non dimostra di essere affidabile nelle occasioni che contano (ricordate il modello tedesco?) quel partito populista non può che essere messo dalla parte delle forze inaffidabili, unfit to lead. E tra una cosa e l’altra ha cominciato a poco a poco a segnare sul terreno il perimetro di quello che il capo dello stato considera evidentemente il necessario buon senso per governare.

 

Seguire questi indizi non è utile solo a capire meglio cosa si nasconde dietro il passo felpato e il tono timido del capo dello stato. Serve a qualcosa di più: ci permette di capire a fondo quali potrebbero essere i criteri che verranno seguiti dopo le elezioni nel caso in cui dovesse esserci una situazione di stallo tale da trasferire ancora una volta al presidente della Repubblica il compito di decidere senza contrappesi il destino del prossimo governo. Ci permette di capire chi, molto semplicemente, il presidente della Repubblica considera un nemico dell’interesse nazionale. Gli indizi sono tanti. Vale la pena metterli in fila utilizzando le stesse parole usate nelle ultime settimane dal capo dello stato su giustizia, magistrati, scienza, vaccini, Europa e capacità di governo. E ogni parola, a suo modo, corrisponde a un paletto fissato sul terreno dal presidente della Repubblica: un limite invalicabile superato il quale non si può governare. Abbiamo letto tutti gli ultimi discorsi del presidente della Repubblica e in qualche modo ne è venuto fuori un manifesto politico. Da seguire, da leggere, da appuntare, da ritagliare. Ventitré ottobre, vaccini, sberla contro i no vax: “Occorre costruire una sempre più forte collaborazione, una effettiva alleanza tra scienza, formazione culturale, comunicazione. Non possiamo accettare che nel Ventunesimo secolo, nella società globale della tecnologia e dell’informatica, acquistino credito credenze anti-scientifiche e che queste credenze ostacolino indispensabili azioni preventive, come le vaccinazioni, finalizzate a sradicare o a impedire il ritorno di malattie pericolose. Malattie che le persone della mia generazione ricordano nella loro diffusione e devastante pericolosità quando colpivano amici e compagni di scuola. Non possiamo consentire che si scarichi sugli altri, che si vaccinano, la sicurezza della salute nella società, mettendola comunque a rischio con la propria omissione”.

 

Undici ottobre, Europa, bordata a tutti gli sciagurati che non capiscono che l’unica forma di protezione che si può offrire ai cittadini oggi non è il protezionismo ma la protezione dell’Europa: “Questi fenomeni (come l’immigrazione) provocano difficoltà e diffondono timori, di cui tenere adeguatamente conto. Siamo chiamati ad affrontarli con intelligenza, con umanità, con capacità di visione, con fermezza nel contrasto delle organizzazioni criminali. All’Europa, di cui siamo parte, chiediamo di essere all’altezza del proprio ruolo nel mondo, della propria dignità e della propria cultura. La solidarietà dell’Europa non è solo garanzia di efficacia. E’ anche garanzia di sicurezza per tutto il Continente”. Nove ottobre, incontro con i magistrati tirocinanti, bordate contro la repubblica giudiziaria, botte contro i magistrati da talk-show, sberle ai campioni del processo mediatico. Prendete fiato e via. “La toga non è un abito di scena. Non si tratta di un simbolo ridondante o soltanto frutto di tradizione. Rappresenta, invece, il senso della funzione che vi apprestate a svolgere… Viene indossata per manifestare il significato di ‘rivestire’ il magistrato, che deve dismettere i propri panni personali ed esprimere, così, appieno la garanzia di imparzialità, la quale si realizza mediante l’esclusiva soggezione alla legge e, quindi, la conformità ad essa… Autonomia e indipendenza vengono rafforzate dall’applicazione obiettiva della legge, operata non in nome proprio ma in nome del popolo italiano, secondo le regole di legge definite dal Parlamento… Il magistrato non deve né perseguire né dar l’impressione di perseguire finalità estranee alla legge ovvero di elevare a parametro opinioni personali quando fa uso dei poteri conferitigli dallo Stato… Occorre essere consapevoli che l’attenzione della opinione pubblica rivolta all’azione giudiziaria non può e non deve determinare alcun condizionamento nelle decisioni… Il processo penale… si svolge nelle aule di tribunale, perché in quelle aule va assicurata la realizzazione delle garanzie dettate dalla legge a tutela non solo delle parti ma anche della imparzialità del giudice”.

 

E ancora, e concludiamo, l’ultimo messaggio, praticamente un monito, è arrivato il due ottobre, inaugurando l’anno accademico di Cagliari e parlando non solo di cultura ma anche di un’arte importante non sempre diffusa nella politica italiana: l’arte del compromesso, la tecnica della trasversalità. “La cultura è conoscenza, è fatta di quella faticosa, impegnativa e indispensabile attività di ricerca; la cultura è anche capacità critica, capacità di verificare le proprie opinioni e le proprie idee con il beneficio del dubbio, di sottoporre le proprie idee alla verifica del dubbio, di ascoltare e rispettare le idee altrui. In questi giorni in tutta Europa abbiamo ancora una volta verificato come quando prevalgono scontro ed esasperazione di posizioni diviene più difficile ogni positiva soluzione. E la cultura può fornire supporto per il dialogo e per un confronto che consenta di pervenire a soluzioni condivise”.

 

Le parole di Mattarella, se messe in fila l’una dopo l’altra, sembrano indicare con chiarezza quale deve essere il percorso politico che dovranno seguire nei prossimi mesi le forze che si candidano a guidare il paese, anche per essere considerate affidabili sul piano interno e su quello internazionale. Nel caso in cui l’Italia dei voti dovesse prevalere su quella dei veti – nel caso in cui cioè ci fosse una forza politica capace di governare senza dover costruire accordi diversi rispetto a quelli scelti prima delle elezioni – le parole di Mattarella avranno un peso relativo, al massimo di indirizzo. Nel caso in cui invece l’Italia dei veti dovesse contare più dell’Italia dei voti – nel caso in cui cioè l’unico modo per far nascere un governo fosse quello di cercare un accordo tra partiti diverso da quello suggerito agli elettori in campagna elettorale – le indicazioni di Mattarella diventerebbero qualcosa di simile a condizioni imperative utili a definire quali leader e quali forze possono essere considerate fit o unfit to lead per seguire l’unica agenda politica ed economica che in un modo o in un altro guiderà il paese nei prossimi cinque anni: l’agenda Draghi-Mattarella, che così a occhio potrebbe avere un peso superiore rispetto a una qualsiasi agenda Renzi o una qualsiasi agenda Di Maio o una qualsiasi agenda Salvini. Il filo è questo. E per non perdersi nel magnifico delirio della prossima campagna forse, prima di ogni chiacchiera, conviene partire da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.