Senza Nord e senza Eurexit, la Lega incompiuta di Salvini
La mutazione genetica del Carroccio è interrotta: dopo l'indipendentismo, il Matteo leghista abbandona pure il sovranismo
Roma. Dopo aver eliminato il “Nord” dal nome del partito, Matteo Salvini cancella l’uscita dall’euro dal programma della Lega. Niente secessione politica dall’Italia, niente secessione monetaria dall’Eurosistema. La svolta era stata anticipata qualche giorno fa da Silvio Berlusconi (“Credo che la Lega abbia messo definitivamente da parte l’uscita dall’euro”) ma anche il leader del Carroccio, intervistato da Sky, è stato molto netto sul tema: “Non possiamo portare noi l’Italia fuori dall’euro, è una scelta che va fatta insieme e non può sceglierlo l’Italia – ha detto Salvini – possiamo offrire agli italiani un’uscita di sicurezza qualora la moneta unica salti, e non perché lo vuole Salvini”. “Se i tedeschi domani si svegliano e dicono ‘l’euro è finito’, perché hanno oramai guadagnato il massimo, noi ci ritroviamo col cerino in mano”, ha aggiunto il segretario della Lega. In conclusione: “Non sono io a uscire dall’euro. Se altri faranno la scelta di uscire da euro voglio che gli italiani siano pronti”. La posizione è completamente ribaltata: Salvini non vuole uscire dall’euro, anzi, vuole difendere gli italiani dagli sprovveduti che vogliono dissolvere l’euro (che poi era la posizione di Salvini fino all’altroieri).
Questa giravolta, come detto, arriva in contemporanea con la storica eliminazione del “Nord” dal nome della Lega e, per certi versi, le due scelte simultanee sono contraddittorie. Salvini ha avuto il merito di aver preso una Lega scesa ai minimi storici dopo gli scandali politici e finanziari e di averla rilanciata a livelli di gradimento mai raggiunti prima. Oltre al pieno di consensi dovuto alle sue indiscusse abilità mediatiche, Salvini aveva anche un piano egemonico sul centrodestra: scontro a viso aperto con Berlusconi per la leadership (niente più pranzi e incontri del lunedì ad Arcore come faceva Umberto Bossi) e costruzione di una destra nazionale sul modello del Front National di Marine Le Pen. Per questa operazione, che passa dall’allargamento della base elettorale nel Meridione, Salvini ha operato una rapida e progressiva modificazione genetica della Lega Nord che in sintesi è consistita nella sostituzione dell’Eurexit alla secessione. Non più indipendenza della Padania, ma sovranità monetaria dell’Italia.
Il problema è che con la ripresa economica, con le sconfitte e le difficoltà dei sovranisti in giro per l’Europa, la battaglia antieuro da condizione indispensabile (“Chi nega che l’uscita dall'euro sia necessaria è ingenuo, prezzolato o in malafede e noi non ci alleiamo”, diceva) è diventata un vicolo cieco da cui battere in ritirata (“Non sono io a uscire dall’euro”). E così Salvini sta abbandonando il sovranismo proprio mentre si mette alle spalle l’indipendentismo, proprio mentre le spinte autonomiste avanzano in Italia e in Europa. Sul tema dell’autodeterminazione poi, la posizione di Salvini negli ultimi anni è stata ambigua e incoerente. In Italia ha subìto i referendum autonomisti in Lombardia e Veneto voluti dai governatori leghisti Maroni e Zaia. Nel Regno Unito non ha tifato apertamente per l’indipendenza della Scozia nel 2014 quando c’è stato un referendum legale, voluto da Edimburgo in accordo con Londra. In Spagna ha preso le distanze dall’indipendenza della Catalogna, dicendo che il referendum convocato da Barcellona è stato una “forzatura”. Ma in Ucraina Salvini ha riconosciuto l’indipendenza della Crimea con successiva annessione alla Russia e la validità di un referendum farlocco tenutosi sotto la pressione dell’esercito russo (ma qui, più che il principio di autodeterminazione ha contato quello di fedeltà a Vladimir Putin).
Ora Salvini si trova a metà del guado, con una trasformazione incompiuta. Il rischio è di ritrovarsi una Lega senza Nord, senza Eurexit e senza strategia.