Solito fango sul Cav.
La giustizia a orologeria colpisce Berlusconi prima del voto in Sicilia con vecchie accuse già archiviate
Ma che strana coincidenza! Domenica prossima si vota in Sicilia e la coalizione di centrodestra viene data dai sondaggi al primo posto. Proprio ora la si premura di aprire un fascicolo contro Silvio Berlusconi, rievocando vecchie accuse che lo vedevano, addirittura, come mandante delle stragi mafiose di Firenze, Roma e Milano del 1993. Si tratta di un fascicolo archiviato nel 2011, che viene tirato fuori dai cassetti a causa di una conversazione in carcere del boss mafioso Giuseppe Graviano, considerata dalla maggior parte degli osservatori una sceneggiata volta a creare confusione. Il filone è lo stesso dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra stato e mafia, che ha perso per strada tutta la già scarsa attendibilità iniziale. La procura di Palermo ha inviato a quelle di Firenze e Caltanissetta, titolari delle inchieste già archiviate, le intercettazioni di Graviano, nell’intento di riesumare una vecchia storia priva di riscontri. Probabilmente dopo le elezioni siciliane o forse quelle nazionali le procure rinunceranno ad aprire un’azione penale priva di qualsiasi fondamento, ma intanto si dà spazio a illazioni fantasiose quanto infamanti.
Lo aveva previsto, su questo foglio, Giuseppe Sottile il mese scorso, leggendo tra le righe dell’audizione del procuratore palermitano Nino Di Matteo nella compiacente sede della commissione Antimafia presieduta dall’ineffabile Rosy Bindi. Ricominciava in grande stile la caccia al “Caimano”, già fallita a Firenze, a Caltanissetta, alla procura nazionale Antimafia, dove il sostituto di Grasso incaricato dell’inchiesta, Gianfranco Donadio aveva combinato tali pasticci da finire sotto inchiesta del Csm lui stesso.
Naturalmente il fronte antiberlusconiano si rimette in moto, Repubblica e il Corriere dedicano alla vicenda una pagina intera richiamata in prima, insomma si cerca di riaprire un caso del tutto inesistente. La base è l’intercettazione di un colloquio tra Graviano e un altro detenuto, intercettazione assai particolare, visto che il capomafia era perfettamente cosciente della presenza di microfoni e telecamere. Si è trattato quindi di un volontario tentativo di depistaggio, dal quale Graviano pensava di ottenere qualche vantaggio. Buttandola in politica, probabilmente ha pensato, si può creare una grande confusione, magari riaprire procedimenti e suscitare simpatie. Se non altro l’indicazione di mandanti occulti, seppure senza prove e senza riscontri, può tacitare la reazione di quei settori della criminalità organizzata che non gli perdonano di aver avviato, con la stagione delle stragi, una pagina conclusasi con il sostanziale smantellamento di Cosa nostra nel palermitano. Altro che trattativa: la reazione dello stato è stata efficace e ora i presunti interlocutori di ministri o mandatari di occulti committenti “politici” sono in galera con condanne pesantissime. Dovrebbe essere chiaro che fingere di dar credito a questa recita carceraria serve solo a Graviano, non fa fare mezzo passo in direzione della verità. Però seminare dubbi e accuse per quanto costruiti sulla sabbia mobile ha un effetto politico e quando c’è clima elettorale pesare sulla politica dà la sensazione di esercitare un potere.
Non serve alla giustizia
E’ per questo che la giustizia a orologeria, di cui si nega l’esistenza contro l’evidenza, torna di moda, e il meccanismo mediatico-giudiziario ricomincia a girare a pieno ritmo. Dare credito alle esibizioni di un boss mafioso non è certo un modo serio di combattere la mafia, ma l’ennesima inchiesta su Berlusconi “fa notizia”, non serve alla giustizia, ma questo non conta, e magari può influenzare esiti elettorali dimostrando l’onnipotenza delle procure. Una vecchia, bruttissima pratica che non finirà mai finché i magistrati non pagheranno per i loro errori come tutti gli altri professionisti, fin quando le intercettazioni saranno utilizzabili non solo per i procedimenti giudiziari ma come strumento di agitazione mediatica e politica. Ma parlare di queste cose è quasi proibito, perché intaccherebbe l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa, valori fondamentali che proprio il perverso meccanismo mediatico-giudiziario sta trascinando nel fango.