Berlusconi, il nemico incredibile
L’antiberlusconismo suscita spasmi di vitalità, ma non funziona più
L’antiberlusconismo venticinque anni dopo. Per un po’ li sorregge, li sospinge, agisce come un anestetico, suscitando spasmi di vitalità in qualcosa che non c’è più, che è stata amputata. E allora i giornali raccontano le frasi rubate, o forse no, del boss Graviano. E per un attimo tutti provano a crederci, si fanno coraggio, venticinque anni dopo la prima archiviazione, si rimboccano le maniche, con buona volontà: coraggio. Ma poi sbuffano, una certa diffusa insofferenza regna sovrana. Giornalisti e politici, i grandi cronisti della storia mafiosa, hanno tutti la voce annoiata di Attilio Bolzoni quando dice, in un commento su Repubblica, che “questa è una storia che non ha mai fine. La storia dei Graviano non si ferma mai. E’ l’atto quarto”. E nemmeno i Cinque stelle, che di solito vivono in uno stato di sovreccitazione, e si compiacciono dell’eccesso, nemmeno loro trovano le parole. Azzannano l’aria. E’ tutto uno sbadiglio. Se la prendono con i giornalisti, che è meglio, i pennivendoli che “si occupano della Appendino e non della mafia”. Così Alessandro Di Battista se la prende con chi “ha criticato il tweet infelice contro Rosato, mentre tace su Berlusconi e Dell’Utri”, e Giulia Di Vita dice che “fa più notizia un tweet del nostro aspirante assessore di Berlusconi e Graviano”. E la verità è che nemmeno loro, che pure ci provano, riescono a fare del Cavaliere un nemico credibile.
E certo per la sinistra la tentazione è fortissima, “torna l’impresentabile”, scriveva Repubblica, ieri. Riecco lo psiconano, finalmente! E per un attimo c’è qualcuno che si lecca i baffi, forse ricorda quando i giornaloni vendevano qualche decina di migliaia di copie in più, negli anni della guerra all’Egoarca. E tutto questo mentre le procure riaprono le indagini, e ritornano anche le accuse di corruzione, la compravendita dei senatori, con tutto il cucuzzaro di questi ultimi due decenni di salti nei cerchi di fuoco. E ci si lecca i baffi, allora, accusatori d’ufficio e difensori per contratto, perché viviamo in tempi ideologicamente imprevedibili, pieni di contropiedi e di spiazzamenti, mentre con il Caimano, il perno della Seconda Repubblica, si torna a un tempo remoto, fidato, rassicurante: si sciolgono i ghiacciai e cambiano le stagioni, ma sappiamo che domani ritroveremo il nostro cielo italiano, sempre diviso tra berlusconiani e antiberlusconiani. Solo che prima c’erano le paginate d’inchiesta sulla nascita di Milano 2, sul patrimonio problematicamente acquisito, su Mangano e sul conflitto d’interessi. E invece adesso non c’è nemmeno Michele Santoro a trasmettere le docufiction, quelle con il pentito, che parla e rivela.
E infatti il replay è stanco, va avanti per storpiature e allitterazioni. Il Pd per un attimo ci prova, qualcuno si spinge a dire che “Berlusconi deve chiarire”. Ma chiarire cosa? Se sono sempre le stesse accuse che si ripetono con indifferente e monotona pendolarità? Così anche la sinistra farfuglia, ammicca, lascia intendere. Eppure non ci riesce, a mordere. E non solo perché con il Cavaliere ci ha già fatto il governo Monti e quello Letta, ma perché forse ci dovrà fare anche il prossimo governo. E insomma tutto questo insieme di cose già sentite, già lette, già viste, questa specie d’intreccio di repertorio non è moda vintage ma precipita sul proscenio elettorale con la verve di un revival, una parola imparentata con dissotterramenti, tombe, zombie e fantasmi. Roba da toccare ferro. E così, alla fine, tutto quello che di Berlusconi era inaccettabile, diventa quasi elemento di una normale, per quanto stramba, dialettica politica. Persino Luigi Di Maio glissa sulla mafia, e si concede un video tutto dedicato a lui, il Cavaliere redivivo. Lo rimprovera, come un figlio deluso: “Mio padre l’ha votata, ma non ha visto nessuna rivoluzione liberale”.