Tulliani e Chiocci
Il caso del cognato di Fini raccontato dal direttore del Tempo (con Nemesi che suona due volte)
Roma. La Nemesi suona sempre una volta, ma nel caso di Gian Marco Chiocci addirittura due. Parliamo di Chiocci cioè del direttore del Tempo già titolare, quando era inviato del Giornale, dell’inchiesta che va sotto al nome di “casa di Montecarlo” – protagonisti Gianfranco Fini, Elisabetta Tulliani e Giancarlo Tulliani, il famoso “cognato”, arrestato giorni fa a Dubai, dov’era latitante, dopo aver chiamato la polizia per far allontanare una troupe de La7 inviata da Massimo Giletti. Chiocci, dunque, si trova ora nella condizione del cinese seduto sulla riva del fiume, ma con doppio successo ex post. Accade infatti che l’arresto di Tulliani, e il ricorrente nome di Francesco Corallo, re delle slot-machine, nelle inchieste scaturite dai primi tronconi d’indagine sulla casa nel Principato, e in generale tutto quello che è venuto fuori negli ultimi anni a proposito dell’immobile, donato ad An dalla contessa Colleoni ma per così in uso al cognato suddetto, contraddica quello che per molto tempo è stato il ritornello ciclico su Chiocci medesimo, additato allora come “macchina del fango”, “sicario di Fini per mano di B.” e addirittura, racconta oggi, “uomo dei servizi per via della collaborazione professionale con l’incolpevole collega Massimo Malpica, per via di una sua parentela con un ex prefetto del Sisde”.
Due volte dunque: perché si dà il caso che anche quella volta, la volta in cui a Chiocci riuscì di provare che Tulliani abitava nella casa di Montecarlo, Tulliani si mise nei guai da solo, e dopo aver chiamato lui stesso la polizia. Era il luglio del 2010, e Chiocci, racconta Chiocci, si trovava al mare dopo la nascita di suo figlio: “Ricevo una telefonata di Feltri e Sallusti, in tandem. ‘Che cos’è, un gatto?’, dice uno dei due sentendo il bambino che piange. ‘No, mio figlio neonato’. Ah, è stata la risposta che equivaleva, nel gergo direttoriale, a una sorta di ‘sti cazzi, c’è una cosa importante da seguire’. E la cosa era appunto l’affaire Montecarlo. Era arrivata una mail che ci informava della possibile presenza di qualcuno legato alla famiglia Fini nell’appartamento donato dalla contessa, e anzi del fatto che forse l’appartamento, difficilissimo da vendere fino a quel momento, fosse stato ‘preso’ da qualcuno vicino a Fini”.
Chiocci a quel punto parte, va, gira, vede gente, e “come sempre capita a Montecarlo, patria del silenzio”, dice, nessuno risponde. Fino a quando, dopo aver parlato con piastrellisti, operai, fiorai, architetti, agenti immobiliari e portieri – nessuno dei quali capace di fornire definitivo riscontro della presenza di un qualcuno legato alla famiglia Fini nell’appartamento – non ha un colpo di fortuna. Chiocci citofona a un campanello non misterioso (“c’era scritto proprio ‘Tulliani’”). Risponde Giancarlo. “Chi è?”. “Sono Gian Marco Chiocci, inviato del Giornale”. Segue scalpiccio di piedi sotto la porta, e lungo silenzio alle successive scampanellate. A quel punto Chiocci torna al vicino albergo, pensando e ripensando a come chiudere il pezzo senza riscontro finale, “mentre si diffondevano i racconti mirabolanti di un Tulliani che girava per Montecarlo in Ferrari, macchina che nel Principato era un po’ come la Smart a Roma”.
Tempo un’ora e un aperitivo, nella hall dell’albergo si materializza una squadra di agenti, “e in fondo”, dice Chiocci, “un ragazzo con fidanzata bionda” (non la stessa di oggi, quella che si era recata con Tulliani all’aeroporto di Dubai). “Giancarlo Tulliani?”, chiede Chiocci. Risposta affermativa, pezzo chiudibile. Fatto sta che Tulliani, alle domande successive, risponde in francese. Poi chiama gli agenti, indicando quel cronista italiano (“è lui!”), reo di aver disturbato un inquilino del Principato. Chiocci ricorda un Tulliani che gli dice “ti sta bene” e un se stesso che risponde “non t’immagini in che cazzo di casino ti sei cacciato”.
Dopo vari interrogatori, e dopo aver scritto il primo di una lunga serie di pezzi, il futuro direttore del Tempo deve lasciare Montecarlo come persona indesiderata – ci tornerà poi in incognito, affiancato dal collega Malpica. I due poi metteranno mano sul contratto di vendita della casa e indagheranno sulla fantomatica “cucina Scavolini, comprata a Roma dai Fini e mandata all’estero, particolare a lungo negato”, racconta Chiocci, allora alle prese con l’interrogativo “Fini mentiva oppure no, e se mentiva, mentiva sapendo di mentire oppure no?”, nonché sul giallo cosiddetto delle società offshore, altra storia che porta al Tulliani di oggi. Tanto che quando all’inviato di Giletti è toccata la sorte toccata anni prima a lui, Chiocci ha pensato: “Nemesi di nuovo? Ma tu guarda”.