Dati telefonici e telematici conservati più a lungo? Gli esperti dicono che è dannoso
Alla Camera si discute il prolungamento della data retention a 72 mesi. Ma l'idea convince poco e molti la considerano inutile e pericolosa
Roma. Sono troppi sei anni di data retention, cioè conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico per motivi di sicurezza da parte degli operatori? L’aumento a settantadue mesi in votazione alla Camera (articolo 24 delle “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2017”) sta facendo discutere esperti di privacy. “Oggi alla Camera – dice Arturo Di Corinto, saggista e giornalista – si vota l’allungamento dei tempi di conservazione del traffico internet e telefonico da due a sei anni (nel 2015 era salito a 4). Well, non credo sarà utile per stanare i terroristi ricostruendo indietro di sei anni le loro relazioni (non sono registrati i contenuti delle conversazioni). Ma quella mole di dati invece diventerà una miniera per Telecoms, marketing politico e commerciale e cybercriminali”. Ovviamente, dice Di Corinto, “chi vuole sa difendersi dalla sorveglianza. Io ad esempio uso un vecchio Nokia con la sim intestata a un turco morto (rip) e uso Tor browser allo stesso modo in cui userei Chrome o Safari. Buona sorveglianza a tutti”.
Forse i toni di Di Corinto sono eccessivi, si penserà, ma analoga preoccupazione è stata espressa anche da alcuni giuristi. A partire da Antonello Soro, presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali. “E’ evidente – ha detto Soro – che il contrasto al terrorismo rappresenti un obiettivo di interesse generale e quindi non è in discussione la raccolta e la conservazione di dati, quanto i tempi di conservazione e le modalità di accesso agli stessi. Le norme e la giurisprudenza europea precludono una raccolta generale e indiscriminata dei dati di traffico telefonico e telematico, perché non è proporzionata alle esigenze investigative e al nucleo essenziale del diritto alla protezione dati e non può quindi essere giustificata in una società democratica”.
Gli stati membri possono invece prevedere obblighi di raccolta dei dati per “obiettivi specifici al solo fine di contrasto di reati gravi, purché siano limitati temporalmente in misura proporzionata alle esigenze investigative e riguardino le sole informazioni a ciò strettamente necessarie”. Inoltre l’acquisizione dei dati stessi deve, secondo la Corte di giustizia, “essere soggetta a specifiche condizioni, incluso il controllo da parte di un giudice o un’autorità indipendente. La sorveglianza non può mai essere generalizzata e massiva ma, lo precisa la Corte di giustizia nella recente sentenza Tele2, deve fondarsi su requisiti individualizzanti, rivolgendosi cioè nei confronti di soggetti coinvolti, in qualche misura, in attività criminose ovvero limitandosi a specifici luoghi nei quali emergano esigenze investigative relative, sempre, a gravi reati e previa adeguata delimitazione temporale della durata della conservazione”. Insomma, ha spiegato a 9Colonne Fulvio Sarzana, giurista che da anni si occupa di diritti digitali e privacy, sulla nuova “data retention”, nella migliore delle ipotesi la norma “è inutile, nella peggiore è dannosa per la privacy” e farà rincarare le tariffe telefoniche. Inoltre l’Unione europea “non accetterà la norma. Bruxelles potrebbe aprire una procedura d’infrazione oppure potrebbe intervenire la Corte di giustizia Ue, se investita della questione da un giudice nazionale”.