Perché l'astensionismo siciliano è un problema per il M5s

Giovanni Maddalena

Il Movimento deve incarnare la ribellione contro “gli altri, che sono tutti uguali”. Il popolo siciliano, nel suo non-voto, sembra già averlo registrato e archiviato tra i “tutti uguali”

Non c’è dubbio che il dato più rilevante delle elezioni siciliane sia la bassa affluenza dei votanti. Contrariamente a quanto spesso si sente dire, dubito che la questione sia una disaffezione verso la politica in senso assoluto. Chesterton diceva che non si può parlare che di politica e di religione. Fosse stato italiano, avrebbe aggiunto il calcio e, vista l’era non vittoriana, il sesso, se non l’amore. Tuttavia, come si può facilmente verificare al bar, dal barbiere, nelle università, la gente continua a parlare di politica. Il problema è che cosa dice della politica e come ne parla.

 

Non è vero neanche che la gente non vada a votare per indifferenza e rassegnazione. Si va a votare quando lo si ritiene importante. Al referendum sulla Costituzione si è quasi raggiunto il 70%. Il Veneto è riuscito a superare il 50% su un referendum solo consultivo. E non è una questione soltanto italiana: al referendum sull’élite politica americana dell’anno scorso, la famosa gente disillusa del presunto scetticissimo popolo americano è andata a votare al 60%, percentuale che saliva di molto negli Stati decisivi. Che la gente non vada a votare è un sogno di molte élite che si sono accorte che il voto popolare non va (più) sempre a loro favore. Un notabile italiano diceva una volta che “è meglio se la gente non va a votare. Nelle democrazie avanzate votano in pochi”. Anche questo giudizio si rivela falso, più un desiderio, un wishful thinking che una realtà: in ogni democrazia il popolo vota quando sa che c’è di mezzo qualcosa di importante.

 

Il problema vero è che il non ritenere importante le questioni decisive per i politici come, per esempio, le elezioni per la presidenza della Regione Sicilia, è a sua volta una forma di voto, ed è una forma punitiva. Punire di che cosa? Il giudizio di strada sul fatto che “tanto sono tutti uguali” è molto diffuso, da nord a sud, ed è forse quello che conclude la maggioranza dei discorsi sulla politica. L’idea che sia solo l’espressione di qualunquismo e incapacità di giudicare non mi pare una strada molto seria dal punto di vista di un osservatore desideroso di capire. La percezione della politica come di un mondo chiuso in se stesso e autoreferenziale, che alla fine impone a tutti – sistematicamente – di rimanere impantanati all’interno di dinamiche identiche, insolubili e spesso lontane dai bisogni delle persone comuni non è banale come sembra. Fior fiore di filosofi della politica si sono cimentati nel cercare di capire questa natura del potere, che sembra essere quasi indipendente dalle persone che lo compongono, quasi dotato di vita propria. Non andare a votare è la versione popolare, ma non stupida, di questo sofisticato giudizio filosofico.

 

Tornando alla politica vissuta, da questo punto di vista chi ha più da temere dalla bassa affluenza siciliana è forse il M5s. La sua natura è quella del partito di protesta che deve incarnare proprio questa ribellione contro “gli altri, che sono tutti uguali”, contro l’élite che non capisce il popolo. Nonostante il successo, il non voto siciliano è un campanello di allarme per il movimento, visto che il popolo siciliano nel suo non-voto sembra già averlo registrato e archiviato tra i “tutti uguali”. Data la velocità con cui si consumano le novità nella nostra epoca comunicativa – e il caso di Renzi è emblematico al proposito – il richiamo non è da poco.

 

Starà a loro dimostrare una diversità radicale che non può essere solo formale – la mancanza di accordi e compromessi – e che deve imparare a capire se e come la bestia del potere può essere domata. Gli altri partiti, più tradizionali, non hanno bisogno di dimostrare nulla in questo senso, dal momento che sono già condannati. A loro spetta invece il compito di stabilire delle differenze, ideali e pratiche, che siano percepite come reali seppure inevitabilmente parziali, in modo tale da convincere coloro che a votare ci vanno che, in fondo, anche con infinite limitazioni, questo e quello pari non sono.