Matteo Renzi (foto LaPresse)

Un'agenda contro il partito del malumore

Claudio Cerasa

Il processo a Renzi ma non solo. Una campagna elettorale non fuori dal mondo sarà possibile solo se la politica rottamerà con la competenza la bolla del paese percepito. Cos’è la nuova battaglia di civiltà contro l’Italia del broncio universale

Che cosa vuol dire combattere il partito del malumore? Prima ancora del dibattito vuoto sulle alleanze, prima ancora del dibattito inutile sul candidato premier, prima ancora del dibattito sterile sul Renzi sì-Renzi no, c’è un tema grande come una casa che da qui ai prossimi mesi una classe politica responsabile avrebbe il dovere di affrontare per prepararsi come si deve a quelle che saranno forse le elezioni politiche più importanti della storia recente del nostro paese. Il tema non riguarda il rapporto, pur appassionante, del Pd con Pietro Grasso. Non riguarda la relazione, pur suggestiva, tra il voto siciliano e il voto nazionale. E non riguarda il rapporto, pur stimolante, tra un Matteo Salvini e un Silvio Berlusconi o tra un Paolo Gentiloni e un Pier Luigi Bersani. Riguarda un tema cruciale che ieri pomeriggio ha messo a fuoco bene il presidente dell’Istat Giorgio Alleva nel corso di un’audizione tenuta di fronte ai membri delle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Il presidente dell’Istat – dopo aver messo insieme una lunga serie di dati utili a fotografare la vivacità economica dell’Italia, dopo aver ricordato i numeri della crescita della produzione industriale tra giugno e agosto (più 2,2 per cento rispetto ai tre mesi precedenti), l’incremento degli ordinativi dell’industria (più 8,7 per cento), il miglioramento delle esportazioni a settembre verso i paesi extra-Ue (più 2 per cento rispetto ad agosto), l’andamento positivo del mercato del lavoro nel corso del 2017 (120 mila occupati in più tra il secondo e il terzo trimestre, 326 mila in più rispetto a un anno fa) e dopo aver affermato che a ottobre “le attese sull’evoluzione dell’occupazione per i successivi tre mesi risultano in miglioramento per tutti i settori, ad eccezione di quello delle costruzioni” – dopo aver fatto tutto questo, e dopo aver messo nero su bianco che “l’indicatore anticipatore registra, nel mese di ottobre, una variazione marcatamente positiva, suggerendo la prosecuzione degli attuali ritmi di crescita”, è arrivato al punto, al vero buco nero del nostro paese, al vero elemento esplosivo che se non curato rischia di far saltare il sistema. “A ottobre – ha detto Alleva – l’indice del clima di fiducia dei consumatori è in leggero aumento, proseguendo la fase di salita iniziata a giugno. Rispetto a settembre, i giudizi e le aspettative dei consumatori sulla situazione economica del paese sono in contenuto peggioramento così come le attese sulla disoccupazione, il tutto in un quadro di sostanziale miglioramento rispetto a quanto registrato nei mesi precedenti”.

 

L’economia va meglio, la fiducia sull’economia no. Se non fosse sufficientemente chiaro, prima ancora del ruolo di Pietro Grasso, del futuro di Matteo Renzi, del destino di Paolo Gentiloni, dell’equilibrio delle alleanze, per le forze politiche che si considerano alternative alle istanze del populismo becero, la vera sfida dei prossimi mesi non sarà quella di combattere l’avanzata del Movimento cinque stelle (partito nato per prendere voti ma non per governare) o di invertire la tendenza del grillismo (la tendenza si è già ridotta da sé) ma sarà quella di trovare prima di tutto delle risposte giuste per invertire uno dei mali oscuri del nostro paese: l’egemonia del partito unico del malumore, che da anni tende a inghiottire regolarmente ogni forma di leadership vagamente riformista. Nei prossimi mesi, la lotta unica e trasversale contro il partito unico del malumore sarà una battaglia cruciale per mettere al riparo il paese dalle pazzie populiste, non per ragioni di carattere retorico ma per ragioni di carattere politico. In una fase pazzotica e delicata come quella in cui viviamo sarà possibile per tutti fare i conti con una campagna elettorale non fuori dal mondo solo se la classe politica e la classe dirigente decideranno di fare un piccolo sforzo per uscire dalla bolla dell’Italia percepita e per entrare nella dimensione dell’Italia reale. Uscire dalla bolla dell’Italia percepita non significa dare una carezza a chi ha governato negli ultimi anni, ma significa spostare il dibattito sul futuro del paese sui temi veri (non su temi fake) senza cedere all’Italia delle emergenze farlocche. In Europa e anche in Italia, le sorgenti del populismo hanno smesso da tempo di pompare acqua (i migranti diminuiscono, l’economia migliora, l’euro va come un treno, chi si trova in Europa si trova meglio di chi sceglie di allontanarsi dall’Europa) ma la ragione per cui almeno dal punto di vista percentuale il populismo nel nostro paese esiste in una misura maggiore rispetto agli altri paesi europei è legata, prima di tutto, all’incapacità di coloro che dovrebbero essere le alternative al populismo di seguire in modo coerente un’agenda non influenzata dalle dinamiche dell’Italia percepita.

 

Più che concentrarsi sul tema delle alleanze e sul tema del candidato premier, se c’è un processo che da qui ai prossimi mesi meriterebbe di essere messo a fuoco – per capire i limiti dell’unico leader politico (Renzi) che in teoria dovrebbe essere percepito in modo naturale come l’alternativa numero uno all’Italia dei populismo essendo equidistante sia da Matteo Salvini sia da Beppe Grillo – quel processo dovrebbe partire dalle ragioni che rischiano di complicare la vita del segretario del Pd molto più del voto in Sicilia. Per Renzi, il passaggio a vuoto della Sicilia rischia di essere nulla in confronto a quello che potrebbe essere rappresentato da un passaggio a vuoto ben più grave, ovverosia la scelta di sfidare il Movimento 5 stelle sul suo stesso terreno, con le polemiche sui vitalizi, i costi della politica, i processi sulle banche, la battaglia contro l’establishment, la declinazione della rottamazione in chiave anti casta. Ribellarsi all’Italia del malumore non significa soltanto rivendicare quanto di buono è stato fatto nel passato, e negli ultimi anni di governo, ma significa prima di tutto decidere con coerenza di non contribuire a dare all’opinione pubblica un pretesto ulteriore per essere ancora più scollegata dai fenomeni reali. Occuparsi più di globalizzazione e meno di vitalizi, più di imprese e meno di banche, più di produttività e meno di anti casta, più di Europa e meno di costi della politica non è solo un modo per contrapporre un’agenda della competenza a un’agenda dell’incompetenza ma è anche un modo concreto per proiettare la campagna elettorale su un terreno diverso rispetto a quello attuale, che non può che essere, a questo punto della storia, quello del confronto e della sfida, per tutti, con il centrodestra.

 

Le due strade della lotta al populismo

 

Per essere alternativi all’Italia delle sirene, dei Pino-Chet e delle scie chimiche c’è un modo pigro, che è quello di scendere sullo stesso terreno dell’incompetenza anti casta; e un modo meno pigro, più complicato, che è quello di sfidare le incompetenze mettendo le proprie competenze al confronto con quelle degli altri. E più che concentrarsi sul nemico, che si sa qual è, per il Pd oggi è forse necessario concentrarsi sull’avversario (ovvero il centrodestra) e confrontarsi con esso non a colpi di tweet anti establishment ma a colpi di idee utili per governare il paese. Da questo punto di vista, una volta riportati alla loro giusta dimensione i risultati della Sicilia, un Berlusconi in palla che diventa il vero avversario da battere per Renzi può diventare una straordinaria occasione per portare la campagna elettorale su un giusto binario. In economia, una sana concorrenza di solito incita le imprese a migliorare la qualità dei beni e servizi che offrono, per attirare più clienti e espandere la loro quota di mercato. In politica, una sana concorrenza può aiutare a comprendere i propri limiti e a migliorare la qualità dei temi offerti, per attirare più elettori ed espandere il proprio bacino elettorale.

 

Come ha ricordato ieri il presidente dell’Istat, il problema vero dell’Italia non è legato alla sua ripresa economica (potrebbe essere superiore, ma esiste) e alla sua capacità di reagire alle situazioni difficili (si potrebbe reagire meglio, ma la reazione c’è stata) ma è legato a un problema più grande: non avere una classe politica sufficientemente attrezzata per creare un’alleanza stabile ed efficace contro il partito del malumore. Se l’obiettivo del Partito democratico, come ha ricordato ieri Matteo Renzi da Giovanni Floris su La7, è quello di riportare alle urne, a marzo, una parte significativa degli elettori che lo scorso 4 dicembre ha scommesso sul progetto renziano (cosa aspetta il segretario del Pd a scendere dal treno per un attimo e a girare l’Italia con un’ape cross in compagnia di Minniti, Gentiloni e Calenda?) la chiave giusta è sotterrare l’autolesionista agenda anti casta e sostituirla con una nuova agenda di governo. Se mai fosse necessario un processo interno al Pd renziano prima ancora di occuparsi del dibattito vuoto sulle alleanze, del dibattito inutile sul candidato premier, del dibattito sterile sul Renzi sì o Renzi no, forse bisognerebbe capire cosa funziona e cosa non funziona nell’unico progetto utile per provare a governare il paese: mettersi alla testa dell’unica alternativa possibile alla defunta vocazione maggioritaria. L’Italia che si ribella al partito dei malmostosi. O se volete semplicemente l’Italia che dice sì.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.