Per salvare la sinistra Renzi deve superare il Pd con un salto alla Macron
Notizia falsa ma vera. E' il momento dell’etica della convinzione
La notizia falsa è vera. La smentita vera è falsa. Il quotidiano Repubblica ieri ha annunciato che Renzi chiude il Pd e fa Macron (una specie di “facce Macron” alla Alberto Sordi). Falso ma vero. Falso, perché la base del fenomeno Renzi è la conquista della guida del Partito democratico messa ai voti nelle primarie, e non avrebbe senso tagliare il ramo su cui si sta seduti, per quanto scomodi. Vera, perché Renzi non è mai stato un normale segretario del Pd bensì un fenomeno politico: emulazione e perfino alleanza con Berlusconi arcinemico, rinnovamento generazionale o rottamazione, idee riformiste eretiche per la tradizione più chiusa e metodo personale decisionista nel programma e nella guida di governo. La smentita subito diramata dal Pd è vera perché il partito non si chiude, come detto inevitabilmente in una nota Ansa, ma è falsa perché l’unica via per Renzi, verso le politiche, è rilanciare il fenomeno che è stato, con tutte le sue caratteristiche che fecero parlare di un partito della nazione quando il presidente del Consiglio aveva successo e prendeva il 40 per cento dei voti alle europee.
Dopo avere preso sberle a Genova, in Emilia, a Roma e in Sicilia, e sopra tutto dopo avere perso il referendum del 4 dicembre 2016, Renzi ha vissuto di incertezza e di condizionamenti: la scissione, giochi correntizi interni che si ripetono, ostilità dell’establishment che lo ha mollato senza mai prima averlo preso, cattivissima stampa, polemiche sulle alleanze (con i corbynisti di D’Alema, con i bersaniani, con i progressisti di Pisapia e Bonino, nuovo Ulivo, nuova Unione e via così), e grottesche discussioni sulla candidatura a premier (lui stesso? Gentiloni? Minniti? chi altro?), questione che finalmente Renzi ha ammesso, statuto o non statuto del Pd, essere un falso problema, perché deciderà il Parlamento, visto che un vero maggioritario e una vera vocazione maggioritaria sono sotto terra, sepolti.
Avendo anticipato largamente il fenomeno Macron sul tema delle riforme e di una nuova dinamica europea anche come argine esplicito al populismo dello sberleffo e della malmostosità (“a Macron, facce Renzi”), ma vivendo in un altro sistema politico, in un paese che ha un’altra storia, e avendo incassato gravi rovesci di fortuna, l’unica possibilità per Renzi oggi, alla vigilia delle politiche, è rilanciare il sé stesso originario, quello delle Leopolde e del governo di tre anni, con l’importante coda di cometa del governo Gentiloni in un’Italia in relativa ma solida ripresa. Può essere che non ce la faccia, e che esista una proiezione siciliana sul voto nazionale, con un successo dirompente del rassembleur Berlusconi (Di Maio e altri tipini come lui finiranno di sicuro dietro la lavagna, con le orecchie d’asino). Può essere che invece gli vada benone, e che alla fine, magari in società obbligata con Berlusconi, risulti tra quelli che danno le carte anche nella prossima mano o legislatura.
Per avere una probabilità di relativo successo, però, Renzi deve totalmente sfilarsi dalla discussione sterile sulla guida del governo e dalla contesa palloccolosa sulle alleanze. La logica della regola elettorale incentiva le coalizioni, e provarci va bene, ma non oltre la soglia di tolleranza dell’opinione nazionale, disinteressata ai giochi di nomenclatura senza effettivo contenuto, e senza sacrificare il rilancio delle sue idee e della sua esperienza, che di frutti ne ha dati, al potere di coalizione di corbynisti e progressisti vecchio stile. In tempi brevi, ché il ritardo già è forte, Renzi deve dire: questa è la mia offerta politica ed elettorale, chi ci sta ci sta, chi non ci sta “ciccia”. Se poi corbynisti e progressisti vogliono togliergli seggi, posto che ce la facciano, scontando che la sua morte vale la resurrezione gloriosa del Cav., lui non ci può fare niente. Fa’ quel che devi, avvenga quel che può. Per Renzi è il momento dell’etica e della politica della convinzione. Sennò alle elezioni non arriverà una sinistra ristrutturata e rilanciata da un sottile gioco di nomenclatura e di idee calibrate su un’alleanza mitica, la solita carovana, ma un pantano.