L'Italia che se la cava nella pantomima
Un vuoto politico allarmante, con la vita pubblica occupata da polemiche demagogiche. Ma il grigiore che ci circonda non consente nemmeno eccessi di pessimismo
Il vuoto politico italiano è effettivamente allarmante. A destra e a sinistra cartelli elettorali, fatti o da perfezionare, che appaiono senza molto senso allo scopo di offrire una proposta di governo responsabile, solida, fondata su idee serie, e un minimo di quella che una volta si chiamava “visione”, cioè l’idea di che paese siamo e come migliorare le cose in un futuro prevedibile, con quali mezzi, con quale blocco sociale riformatore di sostegno. Strisciante secessione da una partecipazione alla vita pubblica occupata da polemiche demagogiche sui vitalizi, le testate e manganellate a Ostia, il senso onnipresente di un livello di corruzione e inaffidabilità della classe dirigente, i salti di gruppo parlamentare che hanno toccato quote inverosimili, la devastante presenza del battaglione folto degli incompetenti, dei somari, dei truffaldi di successo. E la politica è importante, una ovvietà richiamata giustamente da Galli della Loggia, come specchio d’identità di una nazione o di quel che resta di uno stato-nazione. Una buona ma sempre precaria ripresa economica non basta, certo. Tra poco sarà un anno dal giorno in cui ci siamo privati con le nostre mani del ballottaggio, scelta tutto sommato chiara di autogoverno elettorale, reinstaurando il Senato, il Cnel e il vecchio pletorico numero di parlamentari al quale siamo abituati.
La riforma istituzionale del bullo di Rignano, così lo abbiamo rubricato, non ci è, come diceva Gianni Agus, “non ci è piaciata”. Il vuoto politico che ispira rassegnazione e rinuncia c’è, ma prima di tutto è in noi, nelle nostre scelte da avanspettacolo.
Tuttavia in Italia non c’è l’epidemia da oppiacei che fa cinquantamila morti l’anno, ed è in salita, negli Stati Uniti dove il potere di marketing del Big Pharma, il fallimento dei controlli, la debolezza delle istituzioni di salvaguardia hanno portato nei decenni al disastro che non si sa come riscattare. Non c’è stata una sequenza di terrorismo islamico. Non si sono verificati fenomeni divisivi come la Brexit, che non è uno sberleffo grillino o un referendum sull’autonomia regionale veneta ma una scelta strategica carica di incognite. Non abbiamo affidato il paese a una celebrità da reality show e alla sua famigliola bio-politica di impostori a stento controllata da una filiera di generali e di uomini di legge che cercano disperatamente di evitare il disastro finale. Berlusconi torna sul palcoscenico come federatore moderato e popolarista europeo dei casinisti leghisti e di altre destriciattole. L’unità territoriale del paese non è minacciata come nel conflitto tra Catalogna e stato nazionale spagnolo. Non abbiamo dovuto arrestare nessuno per ragioni politiche di sicurezza e difesa dell’unità dello stato costituzionale. E’ fuori dal nostro orizzonte la minaccia dell’uomo forte che si moltiplica nel mondo dalla Turchia alla Cina all’Arabia Saudita. Le paure italiane verso l’esterno hanno qualcosa di farlocco, non sembrano aver radici profonde, Salvini non è Orban, l’Eni sguscia nella grande crisi mediorientale e con la Libia cerchiamo di fare i patti tribali oggi possibili, e non siamo l’avanguardia demografica del grande rimpiazzo etnico paventato altrove, sebbene ci avviamo a diventare un paese di vecchi con molti squilibri e per ora polemiche risibili come quella sullo ius soli. Quello che altrove è tragedia, da noi è pantomima.
Stiamo appesi d’autunno, come le foglie, a una Francia in forma, che ha dato al suo Renzi gli strumenti per governare e progettare invece di prenderlo a calci nel culo, e una Germania lenta, massiccia, ricca, che ci mette due o tre mesi a fare un governo di coalizione ma sembra destinata comunque a un quarto mandato della Mutti. Siamo per adesso, magari in coda o comunque non tra i primi della classifica, nella filiera di quelli che se la cavano. Non so bene se sia una ragione per essere ottimisti, come ragionevolmente si può essere sui dati dell’economia, o no, ma certo è un quadro in grigio che non dovrebbe consentire eccessi di pessimismo.