"Contrordine grillini! Il programma esteri non conta", dice Di Maio l'amerikano
Che fine ha fatto il programma partecipato, condiviso, scritto dal basso e votato dagli “uno vale uno” su Rousseau? Il candidato premier ora dice è carta straccia
Roma. Il tour americano del candidato premier del M5s verrà ricordato per un’altra gaffe, che arriva dopo lo scivolone sul “dittatore venezuelano Pinochet”. Lo sbocco sul Mediterraneo è la pulsione secolare della Russia, il sogno di Pietro il Grande, l’ambizione che passa da Caterina II ad Alessandro I e Nicola I, passando per i sovietici fino a Putin, ma alla fine al popolo russo l’accesso al mare nostrum gliel’ha dato Luigi Di Maio da Pomigliano D’Arco: “Noi non siamo una forza isolazionista. Siamo un paese alleato degli Stati Uniti, ma interlocutore dell’Occidente con tanti paesi del Mediterraneo come la Russia”, ha dichiarato da Washington. La geopolitica del M5s ha evidenti lacune geografiche, che però non sono inferiori a quelle politiche.
Le posizioni espresse in questi giorni nel viaggio di accreditamento negli Stati Uniti sono in netto contrasto con quelle esposte solo pochi mesi fa nell’altro viaggio in America. A maggio, da Boston, Di Maio diceva alla Stampa di essere nettamente contrario all’aumento delle spese militari a favore della Nato: “Non troviamo i soldi per il reddito di cittadinanza, bisogna ragionare per priorità” e criticava il premier Gentiloni “troppo prono verso gli Usa”. Adesso, da Washington, sempre alla Stampa dice il contrario: “Sulla Nato non abbiamo escluso più spesa se indirizzata in tecnologia e intelligence”.
A maggio, da Boston, sulla Libia proponeva una “conferenza di pace che coinvolga sindaci e tribù, mediata da paesi sudamericani “ come Cuba e Venezuela. Adesso, da Washington, sullo stesso tema chiede agli Stati Uniti “un intervento deciso per stabilizzare la Libia”. Ma cos’è successo nel frattempo, perché la politica estera del M5s è diventata più filo atlantista e meno filo venezuelana? “Mi sono confrontato con il gruppo parlamentare e abbiamo stabilito di seguire una sola linea politica”, dice Di Maio alla Stampa. Ma come, la strategia adesso la decide il gruppo parlamentare? E che fine ha fatto il programma partecipato, condiviso, scritto dal basso e votato dagli “uno vale uno” su Rousseau, che per gli eletti del M5s deve essere come la Bibbia?
Il programma esteri del M5s è stato votato pochi mesi fa, ad aprile, da 23 mila iscritti certificati con 69 mila clic, ma ora è carta straccia. Al primo rigo c’è scritto che “Il caos che regna in Libia dimostra, senza nessuna possibilità di smentita, che l’unilateralismo dell’intervento umanitario è definitivamente fallito”. E adesso Di Maio chiede un intervento deciso degli Stati Uniti in Libia, nonostante “la politica estera del M5s si basa sul rispetto dell'autodeterminazione dei popoli, la sovranità e il principio di non ingerenza negli affari interni dei singoli paesi”. Sugli interventi militari della Nato Di Maio vuole “mettere a disposizione i nostri uomini per altre missioni di pace” a parte l’Afghanistan, ma nel programma si parla di “disimpegno dell’Italia da tutte le missioni militari Nato”.
Sulla Nato ora Di Maio si dichiara atlantista e ancorato al blocco occidentale, ma nel programma del M5s c’è scritto che “il sistema di sicurezza occidentale” è “il primo responsabile del caos odierno” (in pratica l’alleanza atlantica è peggio dell’Isis) e che ormai c’è una “discordanza tra l’interesse della sicurezza nazionale italiana con le strategie messe in atto dalla Nato”.
Quanto poi al Venezuela bolivariano, che ora Di Maio dice di aver messo da parte, è indicato come modello politico ed economico nel “programma esteri” grillino: “Abbiamo presentato il modello dell’Alba Bolivariana (l’alleanza fondata dal caudillo Hugo Chávez, ndr) e quello dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ndr) come possibili alternative per i paesi dell’Europa del sud rispetto all’austerità, alla disoccupazione e alla crisi economica prodotte dall’unione economica monetaria”. Altro che l’euro e la Bce, molto meglio il bolivar e la banca centrale venezuelana o sudafricana.
Quanto ai rapporti con Mosca ora Di Maio si definisce atlantista e sostiene che per il M5s la Russia è solo un “interlocutore”. Ma un capitolo del programma definisce la Russia un “partner strategico” che teme “il progressivo allargamento della Nato”.
Per i princìpi del M5s forse non è grave che il suo candidato premier ignori la geografia, ma dovrebbe essere un problema se non conosce il programma votato con la “democrazia diretta”.