Ridateci il conflitto di interessi di Berlusconi
I problemi del Cav. non sono i nemici, ma sono gli alleati. E oltre a Salvini c’è un altro guaio nel centrodestra anti populista: i talk anti sistema di Mediaset, che strizzano l’occhio all’Italia contro cui combatte il Cav. Come uscire da un assedio
Nella nuova, pazza e incredibile vita di Silvio Berlusconi – unico politico su piazza ad avere due chance per portare il suo partito al governo pur avendo circa la metà dei voti dei suoi avversari – c’è un solo grande elemento di continuità con la vita precedente del Cav. e quell’elemento è legato a una caratteristica che da sempre è insieme la forza e la debolezza dell’ex presidente del Consiglio. In fondo, sia quando si parla di campagna elettorale sia quando si parla di esecutivo, il punto è sempre lo stesso: i veri problemi di Berlusconi non sono mai stati i suoi nemici, che spesso gli hanno portato molto consenso, ma sono stati i suoi alleati, che spesso gli hanno fatto invece perdere consenso. Nel passato è andata così con Umberto Bossi e Roberto Maroni, è andata così con Marco Follini e Pier Ferdinando Casini, è andata così con Gianfranco Fini e Angelino Alfano e da un certo punto di vista lo schema si ripete anche oggi con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Ma rispetto al passato la novità di questa campagna elettorale è che tra gli alleati presenti e futuri che potrebbero maggiormente danneggiare il partito di Berlusconi (oltre ovviamente al Pd di Renzi, che in caso di performance negativa costringerebbe il Cav. ad allearsi con il Matteo sbagliato e Dio solo sa se Berlusconi si fida più di un alleato che somiglia a Grillo o di un alleato che somiglia a Berlusconi) ce n’è uno che non ha a che fare con la politica e che ha a che fare direttamente con la famiglia del Cav.: Mediaset.
Dal punto di vista del radicamento nel paese, negli ultimi mesi, in realtà, le peripezie di Mediaset, e il tentativo non riuscito di Vincent Bolloré di conquistare l’azienda fondata dal Cav. hanno avuto l’effetto di creare attorno al mondo aziendale di Berlusconi un cordone sanitario (dall’Agcom, al governo fino alla procura di Milano) che ha diluito la portata dell’“attacco straniero” e che per la prima volta ha permesso a Berlusconi di sentirsi non più colpito ma finalmente protetto dal sistema. Dal punto di vista della tipologia di contenuti editoriali, invece, si può dire che il vero dramma di questa campagna elettorale, per Berlusconi, è quello di avere in casa una serie di televisioni protette sì dal sistema ma che più o meno ogni giorno, e più o meno ogni sera, tendono a legittimare le stesse forze antisistema contro cui combatte il Cav. Berlusconi ha stima sincera di tutti i conduttori dei talk-show di Mediaset – da Paolo Del Debbio, a Maurizio Belpietro, fino a Nicola Porro, al quale il Cav. ha chiesto di candidarsi nel Lazio come governatore del centrodestra (proposta respinta) – ma alla stima per i giornalisti non corrisponde una stima per alcuni dei loro talk-show. Può mai piacere al Berlusconi che tenta di riproporre in Italia il modello Merkel come alternativa al modello Le Pen un talk-show che non fa altro che valorizzare i Le Pen italiani mostrando continuamente l’Italia con gli stessi occhiali che userebbero un Salvini o una Meloni per inquadrare il paese? Può mai piacere al Berlusconi che combatte l’Italia della gogna mediatica – e l’Italia dei beceri istinti antipolitici dei nuovi professionisti dell’anticasta – un talk-show o un programma che non fa altro che giocare con i meccanismi della gogna mettendo all’indice qualunque politico mostri complicità con la casta dei vitalizi? Il ragionamento vale per la “Quinta Colonna” di Paolo Del Debbio, vale per “Dalla vostra Parte” di Maurizio Belpietro, vale in una misura simile per le “Iene” e meno per il “Matrix” di Nicola Porro. Risultato? L’unico talk-show che sarà chiuso nei prossimi mesi per ragioni di budget prima ancora che per ragioni di ascolti (costa un po’ più degli altri) sarà l’unico talk-show che il Cav. non considera populista: “Matrix”. Una Mediaset che non fa il gioco del Cav. e che anzi tende a fare il gioco dei rivali del Cav. – in fondo, anche se in un quadro del tutto diverso, è andata così anche durante la campagna per il referendum costituzionale – è una Mediaset che mostra senza dubbio una sua autonomia e una sua indipendenza. Ma forse ciò che chiamiamo autonomia e indipendenza è frutto anche di una serie di equilibri delicati presenti all’interno dell’azienda. Sull’Italia, Pier Silvio Berlusconi (così come Fedele Confalonieri) ha la stessa visione del padre (populisti no grazie). Ma il punto vero da mettere a fuoco è che Mediaset ha scelto da tempo di scommettere più sull’intrattenimento che sulle news e il risultato è che oggi fare informazione per Mediaset significa non cercare di formare l’opinione pubblica del paese ma fare prima di tutto il massimo degli ascolti con il minimo del costo, anche a costo di dare voce alla stessa Italia alternativa a quella di Berlusconi (se non fosse per Maurizio Costanzo e Barbara D’Urso, la maggioranza dei talk di Mediaset potrebbe essere riproposta senza troppe modifiche sulla piattaforma Rousseau).
Per chi sogna un’Italia dominata dal populismo e dalle forze antisistema, la notizia del conflitto di interessi-che-non-c’è-più (o quasi) può essere considerata come una buona notizia. Per chi invece sogna un’Italia non dominata dalle forze antisistema, dove cioè l’egemonia culturale populista viene riequilibrata da un’attività di formazione della classe dirigente, la notizia che il conflitto di interessi non c’è più (o quasi) non può che essere considerata come una mezza sciagura. Senza voler essere troppo paradossali il punto in fondo ci sembra semplice: in un’Italia che improvvisamente considera Berlusconi un argine al populismo (è il suo momento, il Cav. è su mille fronti, forse sceglierà oltre al prossimo presidente del Consiglio anche il prossimo ct della Nazionale: Carlo Ancelotti) a poco a poco il conflitto di interessi del Cav. non appare più come un fattore di instabilità ma come una garanzia di stabilità del paese. Stabilità perché in molti finalmente capiscono che, grazie al conflitto di interessi, il partito di Berlusconi non farà mai qualcosa che possa essere nocivo per l’economia dell’Italia – e dunque anche per la propria azienda. Stabilità perché in molti finalmente capiscono che, senza conflitto di interessi, e senza un’azienda che fa il gioco del suo fondatore, il futuro non è quello di avere un paese più equilibrato e più moderno ma è quello di avere un paese governato dagli istinti più beceri del populismo. Il ragionamento del Cav. in fondo è chiaro: per come sono fatti oggi, i talk-show sono un regalo al populismo. E la materia per riflettere su questo tema diciamo che non riguarda solo Mediaset. O no?