Kaladze, Weah, per non parlar di Sacchi. Il Cav. sì che ha una classe dirigente
Uno sindaco a Tbilisi, l'altro quasi presidente in Liberia
Nessuno vorrebbe essere amministrato da Kakha Kaladze, manco un milanista, e manco a Tbilisi. Ma quelli sono di Tbilisi, che volete farci, mica è occidente, è un po’ come essere a Ostia. Sta di fatto che Kakha Kaladze l’hanno voluto. Sindaco di Tbilisi. Al primo turno, col 51,13 per cento dei voti. Niente ballottaggio. Roba da Macron. Del resto lui, l’ex difensore dai non raffinatissimi piedi, in Georgia c’era tornato da un pezzo, dal 2012, per fare il politico di professionee per vocazione patriottica: non un improvvisato quaquaraquà. E in verità non ce n’è, non ce n’è proprio, di improvvisati, nella classe dirigente di Silvio Berlusconi. La classe dirigente vera, intendiamo: quella calcistica del suo Milan, passata dal campo alla politica.
George Weah, il mitico Re Leone dell’urlo “WEAH, WEAH, WEAAAAHHH” sta riprovando, tra qualche inghippo di brogli e riconteggi, a diventare presidente della Liberia, dopo averci già provato nel 2005, e nel frattempo s’è preso un master in business administration, mica è un Dibba con due quasi lauree. I grandi figli calcistici del Cav., quando ci si mettono, arrivano sempre in alto. Chiamatela vocazione alla leadership. Chiamatelo il Dna del “paese che amo”. Del resto la sua più grande creazione dirigenziale, in termini di calcio, ovvero l’invenzione di Arrigo Sacchi, se pure sta lontano dalla politica politicante, è naturaliter un alleato e un tessitore, meglio di Fassino. Sacchi è uno che l’anno scorso militò, nazarenicamente, nel campo avverso, perché lui di tattica ne capisce: si impegnò nel comitato Basta un Sì per il referendum del 4 dicembre. E se proprio vogliamo rimanere lì, a girare attorno alle radici del renzismo e dell’innata simpatia che corre tra i due (intesi Berlusconi e Matteo Renzi) come non ricordarsi il fiorentino verace ed ex portierone del Milan, che è una delle concause della nascita del fenomeno Matteo Renzi. Nel 2009 era lui, Giovanni Galli, il candidato sindaco di Firenze in quota Popolo della libertà. Vinse invece, come si sa, un giovane promettente della sinistra, che si chiamava Renzi. E tutto incominciò.
Fin qui sembra un gioco, ma ha il suo perché. Fuori dalla politica, nelle aziende e nel suo amato calcio, Berlusconi è un leader che ha sempre saputo scegliere bene, crearsi una classe dirigente, ingaggiare le sue punte di successo. Non per un caso, ma perché lui conosce gli uomini, capisce le persone. Per questo, poi, le persone (e gli elettori) si fidano di lui. E, Strasburgo o non Strasburgo, dà ancora sicurezza. Parliamo della sua classe dirigente vera, eh: quella calcistica prestata alla politica. (Non veniteci a dire che c’è anche qualcuno dei suoi prestato alla galera per violenza sessuale come Robinho: non rovinateci questa bella storia con la stupidità). Coi politici invece, si sa, non è andata sempre esattamente così. Tra quid ad appassimento rapido, tra professionisti del “che fai mi cacci” finiti anche peggio che cacciati e altre amenità. O suicidi. Capisce gli uomini, il Cavaliere, ma non capisce i politici. Il perché è presto detto. A Milano c’è un modo di dire, “in minga gent”, non sono persone. Lui lo conosce benissimo, e ne possiede il senso: “I politici, in minga gent”. I politici non sono uomini, persone da scegliere e di cui fidarsi. Se avesse azzeccato tutte le mosse e le candidature, tra un casting e uno screening e un dovere di riconoscenza, come ha azzeccato i calciatori, oggi avrebbe un partito degno del Milan (inteso il suo, di Milan). Forse tra qualche mese persino Carletto Ancelotti tornerà, come un salvatore della patria. Forse a lui ridaranno l’agibilità a Strasburgo, o forse no. Però, a uno così, e alla sua classe dirigente, almeno mettetelo a governare la Federcalcio, tutta intera.
Equilibri istituzionali