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Un tempo era tutta Leopolda

David Allegranti

Oggi al via l’edizione numero 8. A che punto è arrivato Renzi? Risponde chi c’è stato

Roma. “Vai alla Leopolda?” dal 2010 a oggi ha sostituto la domanda killer: “Che fai a Capodanno?”. Già da un paio d’anni però il clima di rutilante attesa è cambiato e d’altronde ogni edizione ha avuto il suo scopo e le sue conseguenze; la prima nel 2010 con Pippo Civati, versione co-rottamatore, serviva a Renzi per farsi conoscere e a raccogliere un po’ di amministratori locali sparsi per l’Italia che poi sarebbero stati utili per le primarie del 2012 e il congresso del 2013. Quella del 2011 sembrava essere preparatoria a una eventuale campagna elettorale in caso di elezioni anticipate (ma Giorgio Napolitano, caduto Berlusconi, non sciolse le camere e dette l’incarico a Mario Monti). La Leopolda 3 arrivava pochi giorni prima delle primarie contro Bersani (perse da Renzi), mentre la Leopolda 4 era quella della vittoria annunciata al congresso. La Leopolda 5, nel 2014, è stata la prima governativa. Quella del 2015 è stata funestata dal caso Banca Etruria, dunque è arrivata la Leopolda pre-referendaria. Dice oggi Matteo Renzi che vuole recuperare lo spirito delle prime assemblee, “sarà un’edizione speciale con molte storie e proposte. Sul palco a condurre l’edizione numero 8 (L8-In/Contro) ci saranno insieme a me ragazzi nati negli anni Novanta”.

 

Abbiamo cercato i protagonisti delle prime edizioni, Farinetti, Ichino, Zingales, Pacciani… Interessanti le risposte. E i silenzi

Il Foglio ha cercato alcuni protagonisti delle prime Leopolde, da Oscar Farinetti a Pietro Ichino, da Luigi Zingales a Cosimo Pacciani, per capire a che punto è arrivato Renzi. Oltre alle risposte sono interessanti anche i silenzi, di chi ha visualizzato su WhatsApp e ha preferito non rispondere alle domande del Foglio o chi ha detto chiaramente di non voler commentare. Come Farinetti (spunta blu e ciao), Zingales (idem), Davide Serra (idem) e Giorgio Gori (meglio non esprimersi, ma sabato, cioè domani, sarà “al suo posto”).

 

E, insomma, a che punto è arrivato il segretario del Pd? “Renzi – dice al Foglio il senatore Pietro Ichino, protagonista dell’edizione 2012 – è arrivato a un bivio. Può candidare il Pd a raccogliere il voto del 40 per cento di italiani che mostrano di apprezzare quel che ha fatto il suo governo e quel che sta facendo il governo Gentiloni, e – perché no? – anche di raccogliere il voto del 40 per cento di italiani che hanno votato per la riforma costituzionale; e allora deve impostare la campagna elettorale in rigorosa coerenza con quanto si è fatto fin qui”. Oppure? “Oppure può scegliere di rincorrere un po’ i Cinque stelle, un po’ Berlusconi”. Vede questo rischio? “Lo vedo quando gli sento lanciare la parola d’ordine del ‘ritorno a Maastricht’. Che significa ritornare indietro rispetto al cammino che abbiamo fatto negli ultimi 15 anni sulla via dell’integrazione dell’Italia in Europa, della costruzione della nuova Ue”. Renzi lo propone per rafforzare la crescita, “ma tornare al deficit del tre per cento sul pil significherebbe azzerare i trattati europei del 2010, cioè rinunciare al disegno del pareggio strutturale di bilancio degli stati membri mirato a consentire che le politiche espansive vengano attuate dall’Unione europea. Come in qualche misura sta già accadendo: Draghi non potrebbe praticare il quantitative easing se gli stati membri non si fossero impegnati a mettere in sicurezza i rispettivi bilanci. Significherebbe, dunque, rinunciare a partecipare alla costruzione della nuova Ue con il gruppo di testa”. Significherebbe rinnegare, in particolare, dice Ichino, “tutto quanto di buono i governi Renzi e Gentiloni, col ministro Padoan e il viceministro Morando, hanno fatto negli ultimi quattro anni. A quel punto chi resterebbe a raccoglierne l’eredità? Soltanto Benedetto Della Vedova con il suo movimento Forza Europa?”. Dopo la sconfitta al referendum, il contesto politico è cambiato, regna il caos e forse il caso. Sicché, dice Alfredo Bazoli, deputato del Pd, che “Renzi sta facendo l’unica cosa possibile oggi. Una strategia conservativa e tattica, il cui fine è arrivare primi, almeno come gruppo parlamentare. E poi si vedrà. Le strategie di lungo periodo si faranno dopo, a bocce ferme. Siamo in una fase inedita e di transizione, il cui sbocco ancora non è chiaro. Io lo accompagno sperando di dargli una mano e aiutarlo”.

 

Doveva selezionare la classe dirigente del Pd, non lo ha fatto abbastanza (Ichino). Per Emmott è il "concerto d'addio" di Renzi

La Leopolda doveva essere luogo di selezione della classe dirigente del nuovo Pd. Ha svolto il suo compito? “In qualche misura sì”, riprende Ichino. “Ma non abbastanza: il Pd ha dei buoni ministri, ma soffre della mancanza di dirigenti politici di livello medio, dotati di esperienza e competenza in diversi settori-chiave”. Aggiunge Bazoli: “Ha messo in circolo tante energie diffuse, mobilitato un sacco di gente. Utilissima a una funzione che il partito fatica ad adempiere. Che abbia poi selezionato una nuova classe dirigente, ecco, questo mi pare poco, almeno dentro il partito”. E dal punto di vista programmatico? “Mi pare sia più una occasione di incontro e mobilitazione di energie, che una occasione programmatica”, dice Bazoli. “Serve ad avvicinare mondi e persone, non a impostare programmi. Per quello dovrebbe esservi il partito”. E il partito, par di capire, non c’è. Si ha anche la sensazione che negli ultimi mesi, soprattutto dopo la sconfitta al referendum, il segretario del Pd non abbia trovato un adeguato sostituto della “rottamazione”, termine-manifesto con cui ha saputo farsi avanti in questi anni? “Renzi – dice Ichino – deve passare dalla fase iniziale dell’auto-affermazione, basata su parole d’ordine necessariamente semplificate e a forte contenuto di rottura rispetto all’establishment precedente, a una fase in cui si accredita come statista competente e lungimirante. Ma per compiere questo passaggio deve avere il coraggio, appunto, di alzare lo sguardo verso l’orizzonte, rinunciare a lisciare il pelo all’opinione pubblica cercando di farsi interprete delle sue sensibilità epidermiche, e mostrarsi invece capace di guidarla verso un obiettivo di cambiamento coraggioso e al tempo credibile. Che in questo momento può essere soltanto uno: la ‘riforma europea’ dell’Italia, in funzione della costruzione della nuova Unione europea. Insomma: quello che ha fatto e sta facendo in Francia Macron. E’ vero, noi abbiamo perso il referendum costituzionale; ma è pur sempre da lì che dobbiamo ripartire. Spero che l’assemblea nazionale di Libertàeguale a Orvieto, fra due settimane, dia un contributo forte in questa direzione”.

 

Bill Emmott, già direttore dell’Economist, che salì sul palco della Leopolda nel 2010, vira su un deciso pessimismo e dice al Foglio che Renzi ormai “è come Sinatra”. Il suo è “un concerto d’addio”, nel quale solo il cantante “pensa che sia un ritorno”. Dice che la Leopolda come luogo di selezione della classe dirigente del nuovo Pd è un’iniziativa che “è stata bocciata” e Renzi è ormai diventato “l’ostruzione di se stesso”. Il più grande rischio per lui è che diventi “non pertinente”. Un Renzi insomma che non è più se stesso. Se n’è accorto anche Cosimo Pacciani, che parlò alla Leopolda del 2011 (e poi un’altra volta a quella del 2013), quando ancora su banchieri e uomini della finanza non si facevano le molte distinzioni che oggi vanno di moda, pure nel Pd, per assecondare qualche istinto proto-grillino. Altri tempi. Nel 2011 lo spread era il piede di porco per divellere Berlusconi, l’Italia e il suo governo attendevano letterine di richiamo dall’Europa. Sul palco Pacciani, all’epoca banchiere della Royal Bank of Scotland, mostrò una copia del Financial Times del giorno stesso. Il quotidiano britannico diceva che l’Italia avrebbe dovuto fare qualcosa (riforme elettorali e del mercato del lavoro), lo scetticismo nei confronti del Cav. era elevato. La Leopolda sembrava la risposta giusta, ai suoi suoi partecipanti, e Pacciani diceva che il paese doveva di nuovo accreditabile. Sul palco c’erano anche diverse persone del giro di Vedrò di quegli anni, Renzi era riuscito a catalizzare l’attenzione di molte persone diverse anche per storia. Pacciani era uno di quelli lì, ci credeva. Oggi, interpellato, preferisce declinare l’invito a commentare: lavora per il Fondo Salva Stati, il Mes, dove è capo dei rischi, sicché non vuole esprimere opinioni politiche. Però sull’Italia del 2011 e anche sulla Leopolda qualcosa dice, ed è già molto: “No, non c’è più una generazione Vedrò/Leopolda come quella del 2011. Sembrano gli anni Ottanta, quelli del riflusso”. E, aggiunge, “Comunque, viva Fiorenza!”, quasi a voler ironizzare su certi eccessi fiorentinocentrici. Tuttavia Pacciani ha lasciato diverse tracce programmatiche in questi anni. Nel 2011 pubblicò anche un piccolo ebook, chiamato “La Politica Accidentale”, un peana sul fare politica sulla base del merito e delle competenze contro una certa politica delle poltrone. Pacciani ha dovuto constatare con amarezza che negli anni le cose sono parecchie cambiate in casa renziana. Non a caso, il banchiere fiorentino che da anni si divide tra l’Inghilterra e il Lussemburgo non s’è più fatto vedere alla Leopolda. L’ha detto recentemente anche a qualche amico, come Edoardo Nesi, che invece ancora è entusiasta. “Io ci sarò”, ha detto lo scrittore pratese al Foglio giorni fa, rivendicando le battaglie dello scorso anno. “Era giusto levare il Senato, era giusto levare il Cnel. E’ che l’elettorato, il popolo, non ha sempre ragione. Il problema è questo. I politici non lo possono dire, ma io non sono un politico: il popolo non ha sempre ragione”. Quindi “se tu butti a mare questa roba qua, che cosa rimane di una posizione un po’ più razionale?”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.