La sinistra si salva con Berlusconi
Il futuro del Pd è legato a una rivoluzione urgente: dimenticare Grillo, alzare il livello del confronto e fare del Cav. l’avversario da battere. Governo e Leopolda. Perché la svolta macroniana passa dalla nascita del Pdr: il Partito della ragione
Una speranza c’è e si chiama Pdr. L’edizione numero otto della Leopolda, antica stazione fiorentina trasformata nel 2010 da Matteo Renzi nel simbolo di una sinistra moderna intenzionata a non essere più sottomessa al medioevo sindacale, ai tic antimercato, alla barbarie giustizialista, alle follie antiberlusconiane, alla vacuità del progetto ulivista, si apre in una fase politica delicata, in un contesto molto particolare che l’ex sindaco di Firenze, finora, non aveva mai sperimentato. Sintesi brutale: come evitare di essere in campo per rilanciare un progetto e non solo per farlo sopravvivere? Il tema della difficile sopravvivenza della sinistra è un tema che non riguarda solo l’Italia ma che riguarda tutte le sinistre mondiali ed è sufficiente osservare le condizioni di salute delle principali sinistre europee per capire di cosa stiamo parlando. Dei nove paesi europei che a inizio anno avevano dei governi a guida progressista (Albania, Austria, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia) oggi ne sono rimasti sette. In Austria (si è votato a ottobre) l’Spd è uscito dal governo, in Repubblica Ceca (si è votato a ottobre) il partito socialista ha concluso la sua esperienza di governo raccogliendo il 7 per cento, in Portogallo le sinistre governano sotto dettatura della Troika e gli unici paesi in cui le sinistre europee si trovano in condizioni accettabili sono la Grecia di Tsipras (il cui partito però non è neppure iscritto al Pse), l’Inghilterra di Corbyn (considerato un modello vincente dalle sinistra antagoniste pur avendo appena perso le elezioni) e la Francia di Emmanuel Macron (considerato sia da Tsipras – solidarietà a Curzio Maltese – sia da Renzi un modello da seguire per ridare slancio alle sinistre europee). L’estinzione delle sinistre è dunque un tema ferale e cruciale per la politica mondiale e se combiniamo questo tema con lo scenario italiano capiremo che per Renzi la partita è doppiamente difficile: per la prima volta nella sua vita il segretario del Pd arriva a casa sua, alla sua Leopolda, con un progetto politico che può farsi forza dei risultati ottenuti negli ultimi anni dai governi sostenuti dal Pd ma che a oggi ha poche possibilità di risultare vincente alle prossime elezioni. E’ la prima Leopolda in cui ciò che è stato fatto rischia di essere più centrale di ciò che si potrà fare. E’ la prima Leopolda in cui il sogno che ha tenuto insieme un pezzo importante di popolo della sinistra (l’Italia dei sindaci, l’Italia della semplificazione, l’Italia della riforma costituzionale) è venuto a mancare in modo traumatico. E’ la prima Leopolda in cui il meccanismo dell’alternanza che in modo spietato e millimetrico governa l’Italia dal 1994 (nello spazio della Seconda Repubblica non è mai successo a nessuno di vincere le Politiche per due volte di seguito) potrebbe diventare non un’opportunità ma un rischio per il popolo renziano. E dunque, senza volerci girare troppo attorno, è evidente qual è il tema da affrontare: non più come rottamare i vecchi dinosauri ma come evitare che i nuovi dinosauri rottamino i rottamatori.
Che fare? Una speranza c’è e si chiama Pdr: non partito della Rottamazione, o Partito di Renzi, ma semplicemente Partito della ragione. E per costruire il Partito della ragione, prima ancora di studiare i contenuti, occorre studiare il contenitore e il suo posizionamento ed evitare cioè di commettere un errore che potrebbe essere cruciale: considerare il Movimento 5 stelle come il vero nemico da battere e impostare la campagna elettorale più sui rischi da evitare che sulle opportunità da costruire. Per il centrodestra di Silvio Berlusconi può avere un senso giocare in campagna elettorale sulla dialettica tra il 5 stelle e Forza Italia e a differenza del Pd il partito del Cav. può essere credibile nell’indossare i panni del partito che punta ad arrivare al governo scommettendo sulla carta della migliore opposizione del paese. Dal punto di vista di Renzi, invece, scommettere su una campagna elettorale all’opposizione dell’opposizione rischia di essere pericoloso e rischia di far perdere di vista quello che dovrebbe essere il vero obiettivo di un partito che può sperare di ragionare su uno scenario diverso rispetto a quello della sopravvivenza solo a una condizione: costruendo la propria campagna elettorale non contro le forze di lotta ma contro le forze di governo, rendendosi così conto che il vero avversario su cui concentrarsi è quello con cui un giorno potrebbe essere possibile tornare a governare. Proprio lui: Silvio Berlusconi. Impostare una campagna elettorale puntando unicamente sul no al programma grillino è un’operazione poco sensata perché se c’è una cosa chiara nel Dna del Pd – e la distanza da Bersani, D’Alema, Grasso e dalla sinistra medievale può aiutare a rafforzare questa percezione – è che il principale partito del centrosinistra oggi è la vera alternativa ai partiti populisti (e ovviamente per poter essere alternativo al grillismo bisogna mettere nel conto che qualche voto di sinistra se ne andrà via).
Se l’obiettivo di Matteo Renzi è quello di rubare voti all’elettorato grillino (8,6 milioni di persone hanno votato il Movimento 5 stelle nel 2013 e grosso modo le stesse, forse qualcuna di meno, dovrebbero votarlo alle prossime elezioni) le prossime elezioni per il Pd saranno un disastro. Viceversa se il Pd di Renzi capirà che la vera campagna elettorale si gioca andando a sfidare sul terreno dei contenuti l’unica opposizione che ha possibilità di finire al governo la partita potrebbe prendere una traiettoria diversa. E per capire perché, è sufficiente ricordare alcuni numeri che dovrebbero essere al centro di ogni ragionamento del Pd. Tre in particolare: 3,6 milioni, 4 milioni e 5,7 milioni. Il primo numero coincide con il bacino elettorale (10 per cento) raccolto nel 2013 da Mario Monti con la sua Scelta Civica (oggi Sciolta). Il secondo numero coincide con i voti persi dal Pd tra il 2008 e il 2013. Il terzo numero coincide con i voti che il Pdl ha perso tra il 2008 e il 2013. Una piccola parte di questi voti, nel corso del tempo, è stata assorbita dal 5 stelle (e grosso modo lì rimarrà). Ma tutto il resto sono voti in libera uscita. E per raccogliere questi voti, il segretario del Pd non ha bisogno di scommettere sullo scontro con le scie chimiche di Grillo ma ha bisogno di scommettere sul confronto con le idee con cui il centrodestra si candida a guidare il paese.
Se vogliamo, una novità di questa Leopolda, novità non positiva, è che Renzi sa di aver perso appeal con un pezzo di elettorato che era il suo vero valore aggiunto, quello così detto moderato, quello che ha votato Veltroni nel 2008, quello che ha votato Monti nel 2013, quello che non ha votato il Cav. nel 2013. E anche per questo, per Renzi, vincere le elezioni non sarà facile – a oggi sembra una missione quasi impossibile – ma per avere possibilità concrete di ottenere un risultato importante, e per sfuggire all’effetto della candela di cera consumata, la strada è una e soltanto una: alzare il livello del confronto e trasformare così la campagna elettorale in un’occasione utile per discutere non delle paure ma del futuro del paese. “Il primo servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici che sono il vero rischio del nostro tempo”. Il suggerimento è datato 1981, è firmato Joseph Ratzinger ed è ancora attuale. Non sarà facile ma per il Pd una speranza c’è e quella speranza passa dalla trasformazione macroniana del partito. Da Pd a Pdr. Non nel senso della personalizzazione (partito di Renzi) ma più semplicemente nel senso della ragione.