Savoini, avamposto putiniano della Lega e nemico del black friday
Il “russo” d’Italia vede in Donald Trump colui che può invertire la rotta della “nuova Guerra Fredda”. Ma la Lega è sola
Roma. “Abbiamo sicuramente più affinità culturali con Sebastopoli che con Miami”. Così parlò (nel 2015) Gianluca Savoini, giornalista, ex collaboratore di Roberto Maroni, già portavoce di Matteo Salvini ma soprattutto, già dai tempi di Umberto Bossi, uomo-macchina dell’entente cordiale Russia-Lega Nord. Oggi Savoini – “russo” d’Italia fin dall’abituale e a volte incongruo dolcevita da film di spie sotto la cortina di Ferro – è presidente dell’Associazione culturale Lombardia-Russia, organismo che si preoccupa di creare il cosiddetto “ponte” tra imprese di questo e di quel paese e di favorire “contatti culturali”. Ogni volta che Matteo Salvini vola in Russia c’è dietro Savoini, e ogni volta che Salvini parla di Russia Savoini ne ha già parlato, esattamente come ne parlava quando ancora Salvini non era segretario della Lega, e con parole simili a quelle usate, sempre nel 2015, in un’intervista a “Lo Specchio di Crimea”.
E dunque Savoini, l’uomo che vede in Donald Trump colui che può invertire la rotta della “nuova Guerra Fredda” a suo avviso favorita dall’amministrazione Obama, descriveva agli amici di Sebastopoli un Salvini intento a “difendere le ragioni della Russia non soltanto in Italia ma anche a Bruxelles. Ma la Lega è da sola, perché la sinistra è serva degli interessi dei mondialisti antirussi e la destra moderata come sempre segue gli ordini di Bruxelles e di Washington. E purtroppo abbiamo gente confusa e al servizio del mondialismo anche all’interno della Lega, che come ogni partito ha le sue correnti interne…”. Non solo. Alla domanda: “Veramente credete e pensate che la Russia sia piu democratica della Ue?”, Savoini rispondeva: “La democrazia è soltanto un’espressione vuota di significato ormai. Nella Ue dominano le lobbies economiche e tecnocratiche che non vengono elette dal popolo…. Il politically correct è la vera dittatura sui cervelli e il pensiero dell’opinione pubblica: minoranze di fanatici vogliono i matrimoni gay, la droga libera, l’immigrazione senza limiti, persino alcuni pensieri positivi sulla pedofilia...Beati voi che invece avete un governo che pensa ai diritti della maggioranza e giustamente privilegia i russi. La vostra è vera democrazia…”.
L’idea di fondo è che all’Italia serva il “pensiero forte” di Vladimir Putin, e che Putin vada difeso da quella che per Savoini – cinquantaquattrenne nato ad Alessio e formatosi politicamente nel solco di Mario Borghezio e poi nella nostalgia del professor Gianfranco Miglio – è a tutti gli effetti “disinformatia” (oggi Savoini considera Putin il salvatore della Siria: “Ha messo d’accordo Iran e Turchia…grazie alla Russia la Siria non è stata distrutta dall’Isis”). Come sia diventato, Savoini, l’eminenza grigia dell’accordo di cooperazione tra la Lega e il partito Russia Unita, stretto nel marzo scorso dopo anni di sostegno leghista al governo russo nella vicenda ucraina, è storia che affonda nella notte dei tempi leghisti.
E infatti, a chiedere notizie su Savoini presso gli insider, ci si imbatte ben tre volte nella frase “Savoini si occupava di Russia prima ancora che ci fosse via Bellerio”. E insomma la storica sede della Lega non vide gli albori della carriera di pontiere putiniano dell’attuale braccio destro di Salvini perché l’attuale braccio destro di Salvini guardava al Cremlino in anni in cui il Cremlino era ancora luogo dell’immaginario ex Pci. Da ragazzo, dunque, da ex cronista del Corriere Mercantile di Genova e da collaboratore di varie testate (ultima in ordine di tempo, “La Padania”), Savoini indottrinava al culto della Madre Russia i giovani leghisti. In compenso non è mai stato un seguace di Flavio Tosi, motivo per cui, a un certo punto, non è stato neanche più annoverato tra i maroniani. Detesta le tradizioni anglossassoni importate in Italia: ieri, da Twitter, tuonava contro “gli idioti del black friday”.