Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Dizionario minimo del dimaiese

David Allegranti

“Alter ego”, “Inopinabile” e un sacco di words in English. Come parla il candidato del M5s?

“Le parole sono importanti”, avvertiva già Nanni Moretti, ammonendo generazioni di luogocomunisti che aprono le fauci per dire “matrimonio a pezzi” e “ambiente cheap”. E sono importanti soprattutto se sei un politico, ti candidi a guidare un paese e ogni giorno distribuisci la tua logorrea al pubblico, fra esternazioni su Facebook, Twitter e interviste. Ecco, prendiamo Luigi Di Maio. Come si esprime il vicepresidente della Camera, di professione politico, candidato dei Cinque stelle alla presidenza del Consiglio? Per orientarsi nel suo lessico, nel quale una parola vale l’altra, proprio come nel M5s, anche quando non significa la stessa cosa o magari addirittura un’altra, serve un dizionario appropriato: il Di Maio.

 

Portatori d’interesse

Che rapporti avrete con loro (gli imprenditori, ndr) se andrete al governo? “Collaboreremo con i portatori di interesse, ma con regole chiare e trasparenza”. In che modo? “Creando leggi ad hoc. Sui poteri forti crediamo che la politica non debba mettersi al servizio di nessuno, ma con i portatori di interesse si deve dialogare, purché all’interno di un rapporto regolamentato, cosa che fino ad oggi in Italia non c’è stata” (Corriere della Sera, 3 settembre 2017). “Inizieremo a breve a parlare con gli stakeholder, vale a dire con i gruppi di interesse, con cui ci confronteremo sui singoli punti” (Davide Casaleggio, Tg1, 27 giugno 2017).

Ci sono alcune parole che Di Maio ripete in continuazione in sostituzione di altre. Siccome “lobbista” potrebbe urtare la sensibilità movimentista del M5s, che vede un Club Bilderberg dietro ogni associazione che non usi Rousseau per scegliere leggi e aspiranti al potere, il candidato presidente del Consiglio preferisce utilizzare “portatori di interesse”, traduzione di “stakeholder”, termine che invece piace molto a Davide Casaleggio e che si trova in qualsiasi manuale di Scienza politica del primo anno di università. Quando Di Maio è andato a Cernobbio, al Forum Ambrosetti, ha appunto incontrato non la finanza sporca e cattiva ma i “portatori d’interesse”. Il politicamente corretto ai tempi del M5s.

 

Storytelling

Come vive il Movimento questo cambio di linea? Siete passati dalle visite al partito di Putin a quelle al dipartimento di Stato americano. “Voglio essere chiaro: il nostro programma non ha mai messo in discussione la Nato e l’alleanza con gli Stati Uniti. E ripeto: siamo interlocutori storici della Russia, non crediamo che le sanzioni siano uno strumento efficace, ma lo storytelling che ci dipinge come filorussi è falso” (Repubblica, 16 novembre 2017).

"Startup" è una di quelle parole da lessico luogocomunista, più che da vocabolario dimaiese: non vuol dire niente e tutti la usano

Storytelling non vuol dire più niente, nonostante tutta la fatica fatta da Christian Salmon, perché ormai viene usato a casaccio. Secondo lo scrittore francese, lo storytelling “incolla sulla realtà racconti artificiali, blocca gli scambi, satura lo spazio simbolico di sceneggiati e di stories. Non racconta l’esperienza del passato, ma disegna i comportamenti, orienta i flussi di emozioni, sincronizza la loro circolazione. Lontano da questi ‘percorsi del riconoscimento’ che Paul Ricoeur decifrava nell’attività narrativa, lo storytelling costruisce ingranaggi narrativi seguendo i quali gli individui sono portati a identificarsi in certi modelli e a conformarsi a determinati standard”. Ma Di Maio lo usa in altro modo e pare confonderlo con “fake news”, altra parola stra-abusata che in fondo sta per bufala o costruzione volontaria di un fatto spacciato per vero ma che spesso viene usata per descrivere ciò che semplicemente non piace.

 

Alter ego

“Io quando incontro le ambasciate degli altri paesi, come incontro i miei alter ego di altri paesi…” (Che tempo che fa, 13 novembre 2017).

"Io quando incontro le ambasciate degli altri paesi, come incontro i miei alter ego di altri paesi..."

In latino vuol dire “un altro me stesso”, ma Di Maio, che pure ha fatto il liceo classico, non pare esserne edotto (“informato”, npD, nota per Di Maio). “Sostituto o in genere persona che fa le veci di un’altra e ha facoltà di decidere in suo nome” (Treccani). Il linguista Giuseppe Antonelli, autore di “Volgare eloquenza” (Laterza) ha una teoria su strafalcioni come questo: “Non avrei quasi dubbi ormai: lo fa davvero apposta. Ogni intervento, uno strafalcione. Così poi ne parliamo e i suoi seguaci dicono che ci occupiamo di cose fatue (non dicono proprio così, ma insomma). Il guaio serio è che la #VolgareEloquenza porta voti”. In fondo già lo diceva Isaac Asimov nel 1980: “Una vena di anti-intellettualismo si è insinuata nei gangli vitali della nostra politica e cultura, alimentata dalla falsa nozione che democrazia significhi ‘la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza’”. Vale per tutto, anche in politica.

 

Pinochet

“Il referendum di ottobre, novembre o dicembre (ci faccia sapere la data, quando gli farà comodo) lui stesso (Renzi, ndr) lo sta facendo diventare un voto sul suo personaggio che ha occupato con arroganza la cosa pubblica, come ai tempi di Pinochet in Venezuela. E sappiamo come è finita”. (Facebook, 13 settembre 2017).

Eh sì, da quelle parti lo sanno molto bene. In Cile però. Da non confondersi con il più noto “Pino Chet”, di cui la senatrice del M5s Sara Paglini è biografa ufficiale.

 

Lobby

“Esiste la lobby dei petrolieri e quella degli ambientalisti, quella dei malati di cancro e quella degli inceneritori. Il problema è la politica senza spina dorsale, che si presta sempre alle solite logiche dei potentati economici decotti” (Facebook, 21 luglio 2016).

Poi c’è la lobby dei cialtroni, parecchio numerosa.

 

Startup (cfr smart nation)

“Vogliamo che l’Italia diventi una smart nation, cioè un paese più efficiente, più veloce, che si basa sull'innovazione e sullo sviluppo tecnologico, e tutto questo non possiamo immaginare di farlo senza il contributo di chi, nel nostro paese, ha idee innovative e produce” (Corriere della Sera, 3 settembre 2017). “Pochi voti sulla piattaforma Rousseau? Contano quelli elettorali. Ma un successo di numeri così non c’era mai stato. Tenete conto che Rousseau è una startup che ha solo un anno di vita” (26 settembre 2017).

Startup è una di quelle parole da lessico luogocomunista, più che da vocabolario dimaiese. Nel senso che la usano tutti e non vuol dire niente. Ed è una di quelle parole che fanno scattare l’applauso, indipendentemente dall’interlocutore che la pronuncia o il pubblico che ascolta. Segue racconto aziendale e aziendalista su un paio di ragazzi nel solito (inesistente) garage, ormai un topos letterario, alle prese con la burocrazia.

 

Lo psicologo Gallini, il deputato Boneschi

“Non ce li siamo inventati noi ma economisti come Ortona e come il defunto psicologo Gallini che, tra l’altro, scriveva sul giornale di Giannini (Massimo ndr)”. (#cartabianca, 29 marzo 2017).

"Lobby" è parola brutta, roba da Bilderberg – meglio "portatori di interessi"– ma non sa neanche come usarla

Nel linguaggio di Di Maio spuntano spesso figure, portate come esempio positivo o come esempio negativo, che non sono mai esistite, non si chiamano così, oppure non esistono più perché defunte. E’ il caso del famoso “psicologo Gallini”, che poi sarebbe il sociologo Luciano Gallino. E quando cita persone che non esistono o non si chiamano così, Di Maio cita persone defunte che non possono più difendersi.

Nella furia anticasta, ha definito il vitalizio “un privilegio medievale” che può essere goduto “anche da chi ha fatto il parlamentare per un giorno come un tal Boneschi che ora prende 3.108 euro” e di cui beneficiano persone come “Scajola, Taormina e Laboccetta ma anche Ilona Staller, Vittorio Sgarbi, Ombretta Colli o Eugenio Scalfari che ci fa la morale” (17 luglio 2017). “Tal Boneschi”, avvocato di Giorgiana Masi, è morto nel 2016.

 

Inopinabile

“L’Italia ha importato dalla Romania il 40 per cento dei loro criminali. Mentre la Romania sta importando dall’Italia le nostre imprese e i nostri capitali. Che affare questa Ue” (Facebook, 12 aprile 2017).

Segue dichiarazione del procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita pronunciata al convegno dei Cinque stelle a Ivrea, a sostegno della tesi. “Qualche tempo fa – qualche anno, ma la situazione non è cambiata – il ministro rumeno, degli Interni se non sbaglio, ci comunicò che di tutti i mandati di cattura europei che riguardavano cittadini rumeni il 40 per cento proveniva dall’Italia… Quindi questo significa che quattro rumeni su dieci che avevano deciso di andare a delinquere hanno scelto il nostro paese come luogo nel quale andare a delinquere”. La frase ha fatto infuriare la comunità rumena in Italia, poi Di Maio in un tweet successivo ha provato a precisare: “C’è un dato che è inopinabile: il 40 per cento dei ricercati con mandato internazionale emesso da Bucarest si trova in Italia… Ardita ha ribadito che ‘quattro rumeni su 10 hanno scelto il nostro paese come luogo nel quale delinquere e questo è un problema importante che riguarda la giustizia’”.

A parte il fatto, non secondario, che Di Maio avrebbe dovuto dire “incontrovertibile”, perché “inopinabile” non è il contrario di “opinabile” e significa imprevedibile, ma: il dato – citato dal ministro della Giustizia, e non da quello degli Interni – risale al 2009, quindi a otto anni fa; non è proprio recentissimo e le cose potrebbero essere cambiate. In più è proprio quel 40 per cento, buttato là nel mezzo, a destare qualche sospetto. Luca Sofri, su Wittgenstein, ha recuperato fonti più attendibili attorno a quel numero e ne ha tratto che “il 40 per cento dei ricercati dalle autorità romene con mandati di cattura europei (quindi in paesi dell’Ue fuori dalla Romania) si troverebbe in Italia”. Il che è un po’ diverso dal dire che quattro rumeni su 10 avevano scelto il nostro paese per delinquere. Peraltro, questo è ciò che Di Maio attribuisce ad Ardita, perché la frase pronunciata dal procuratore è diversa. Un conto è dire che quattro rumeni 10 hanno scelto l’Italia per fare i criminali, un altro conto è dire che quattro criminali rumeni su 10 criminali rumeni sono venuti in Italia. Se la prima affermazione fosse vera, nel nostro paese ci sarebbero 8 milioni di delinquenti rumeni (il 40 per cento dei 20 milioni di abitanti della Romania). Ora, vi pare possibile?

 

Mission oriented

“Stiamo mettendo a punto le linee guida di una politica economica e industriale ‘mission oriented’, con una verifica puntuale, mai svolta finora in Italia, dei ritorni e degli impatti generati dalla spesa pubblica, proprio come già prevede la vostra legge di contabilità. Il Movimento 5 stelle vuole proteggere gli asset, le imprese e le produzioni più importanti d’Italia” (blog di Beppe Grillo, 23 novembre 2017).

"Stiamo mettendo a punto le linee guida di una politica economica e industriale 'mission oriented'"

Diego Fusaro dice che l’inglese è la lingua dell’impero e non va usata: dovrebbe avvertire i suoi ex amici del M5s, come Di Maio. Ma il vicepresidente della Camera non è l’unico a voler fare l’americano anche quando non ce ne sarebbe bisogno. “So che da voi sono le sette”, ha esordito in uno dei suoi video della gita in America, e come non pensare al Nando Moriconi di Alberto Sordi, primo americano a Roma con l’accento alla Stanlio e Ollio: “Macaroni, macaroni… questa è roba da carrettieri. Io non magno macaroni, sono americano sono. Vino rosso, io non bevo vino rosso... Lo sapete che sono americano. Gli americani magnano marmellata. Questa è roba da americani: yogurt, mostarda. Ecco perché gli americani vincono gli apache, combattono gli indiani, gli americani non bevono vino rosso. Bevono il latte, apposta non s’imbriacano. Che avete mai visto un americano ’mbriaco voi?”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.