Il Corriere di Cairo dovrebbe dire se sta con la democrazia o con Dibba
Ok la perversione di Galli della Loggia per il Movimento 5 stelle, ma un grande editore può permettersi di considerare il giornale della classe dirigente solo un giocattolo a cui far quadrare i conti?
Sul Corriere della Sera di domenica scorsa, uno degli editorialisti di punta del quotidiano diretto da Luciano Fontana, Ernesto Galli Della Loggia, ha offerto ai lettori del giornale della borghesia (ripetiamo: il giornale della borghesia) un commento importante, profondo, denso di significato. Il senso era più o meno questo: chi siamo noi per giudicare se il Movimento 5 stelle è un partito eversivo che minaccia la Costituzione? La simpatia di Galli della Loggia per il Movimento 5 stelle non è una novità (ognuno ha le sue perversioni) e già nel febbraio del 2013 il Corriere scelse, in piena campagna elettorale, di valorizzare un editoriale del colto (sul fatto) editorialista di Via Solferino. Ricordate, no? Noi sì (ognuno ha le sue perversioni): “Volendo però entrare nel cuore della presunta assenza di proposte e di veri obiettivi politici da parte del cosiddetto populismo grillino – scrisse Galli della Loggia – la domanda decisiva da farsi mi sembra questa: a conti fatti, voler mandare a casa un’intera classe politica costituisce o no un obiettivo politico (e non da poco, direi)? Costituisce o no un programma, anzi un ambizioso programma elettorale? E se la risposta è positiva, allora sopraggiunge di rincalzo un’altra domanda ancora: nelle condizioni date, qui, oggi, in questo paese, quale altra via esisteva, per cercare, non dico di realizzare ma di affermare con forza quell’obiettivo, se non il voto per la lista di Beppe Grillo?”.
L’elemento su cui riflettere oggi però non è cosa pensi Galli della Loggia del 5 stelle (lo abbiamo capito) ma come si pone il Corriere di fronte alla possibilità che Beppe Grillo, la Casaleggio Associati e il davighismo arrivino a guidare l’Italia attraverso la maschera di Luigi Di Maio. E soprattutto, dato ancora più centrale, cosa pensi l’editore del Corriere della Sera, Urbano Cairo, di un partito che, mentre Galli della Loggia si sistemava il ciuffo, ha affermato di voler superare la democrazia rappresentativa, cancellare la prescrizione, abolire il voto segreto, impedire a ogni eletto di agire senza vincolo di mandato e costringere i suoi eletti a firmare clausole vessatorie che trasformano gli eletti in dipendenti di un’azienda privata.
Che un editorialista del Corriere non veda nulla di eversivo in un partito che vuole eliminare la democrazia rappresentativa è un diritto e una perversione che va rispettata e ogni lettore è libero di farsi liberamente la sua idea ascoltando un Galli della Loggia o un Sabino Cassese, che un anno fa al Foglio ricordò perché con i grillini c’è un problema di eversione: “I nostri ordinamenti sono fondati su un principio chiave che riflette il senso della nostra Costituzione: le democrazie sono rappresentative, cioè indirette, e possono avere alcuni innesti di democrazia diretta. Il Movimento 5 stelle vuole rovesciare questo rapporto, che è previsto dalla Costituzione e vuole mettere la democrazia rappresentativa alle dipendenze della democrazia diretta. Qui si parla di eversione, non solo di Costituzione”.
Ma il dato che ci preme sottolineare è che a questo punto della storia sarebbe bello e opportuno che l’editore del Corriere autorizzasse il direttore del suo giornale a spiegare, in questa partita piuttosto delicata, da che parte sta il giornale della così detta classe dirigente. E la questione in fondo è semplice e lineare: può permettersi un grande editore di considerare il giornale della classe dirigente solo un giocattolo a cui far quadrare i conti, come se fosse un supplemento di DiPiù? Tra poco meno di cento giorni il paese andrà al voto e oggi sappiamo più o meno su che fronte sono schierati i giornali italiani. La Stampa ha scelto una linea aperturista nei confronti sia di Renzi sia di Berlusconi. Repubblica (tranne Eugenio Scalfari) ha fatto una scommessa su un paese guidato dalla Miguel Gotor e Associati. Il Fatto sogna un governo Davigo-Di Matteo con i parlamentari fatti accompagnare direttamente a Rebibbia. E il Corriere invece no. Su Grillo, nessuna linea. Su Di Maio, nessun appunto. Verrebbe quasi da pensare che mentre un pezzo di classe dirigente riflette sull’opportunità di mostrare carattere contro la Dibba e Associati il giornale della classe dirigente, in piena campagna elettorale, sceglie, come nel 2013, di scommettere forte su un nuovo font tipografico: il carattere Dibba. E’ davvero questa la scelta del suo giornale, monsieur Urbano Cairo?