I Casaleggio Leaks
Accuse e scuse di Adriano Meloni, l’assessore casaleggiano che rivela ciò che a Milano pensano di Virginia Raggi
Roma. Non smentisce nulla, ovvero conferma di avere detto quelle parole “sicuramente fuori luogo”, ma con un post su Facebook, dopo un’intera giornata di telefonate pressanti, strepiti, preghiere, urla e lusinghe, alle 19 spaccate, dichiara, in pratica, di non essere più d’accordo con se stesso: “Mi scuso per alcuni spezzoni di una chat privata riportati dalla stampa”. E la storia dell’assessore allo Sviluppo di Roma, Adriano Meloni – che all’alba spara cannonate sul Messaggero contro un pezzo da novanta della sua stessa maggioranza, il grillino Andrea Coia, accusandolo, niente meno, di essere un amico di un clan di bancarellari fuorilegge, ma al tramonto è costretto a chiedere scusa, tecnicamente ad abiurare – non è solo materia d’indagine psicologica e legale, ma è una contorta vicenda che racconta le tensioni e i pasticci che affliggono il Movimento cinque stelle.
I protagonisti principali di questa commedia, che non sarà certo senza conseguenze, sono due: uno è l’assessore allo Sviluppo, amico di Davide Casaleggio, l’uomo di cui anche Gianroberto si fidava moltissimo, l’altro è il presidente della Commissione commercio in quota Virginia Raggi, la sindaca che lo difende alla morte. Il primo, Meloni, è stato amministratore delegato di Expedia, e venne mandato da Milano a Roma nel luglio del 2016, dalla Casaleggio Associati, appunto, l’azienda con la quale aveva collaborato dal 2006 al 2008; mentre l’altro, Coia, è stato “portavoce” del M5s nel VII municipio, e appartiene alla categoria di quei Cinque stelle romani di cui il quartier generale milanese non si fida più. Ha detto Meloni di Coia: “Forse è quello che ha fatto più danni alla giunta Raggi di qualsiasi altro consigliere”. E ancora, nella pirotecnica, deflagrante, e abiurata intervista: “E’ lecito pensare che si sia accordato con i Tredicine”, cioè con il clan famigliare che a Roma amministra la selvaggia illegalità degli ambulanti, il pittoresco delle roulotte che vendono cibo, i caldarrostari, la paccottiglia che ogni giorno degrada i monumenti e i luoghi storici oggi invasi con persino maggiore efficacia di prima, dopo il nuovo regolamento per il commercio e dopo il bando per il mercatino natalizio di Piazza Navona, monopolizzato, guarda un po’, dai soliti Tredicine.
E sin da subito s’era capito che questo conflitto tra l’assessore alto e brizzolato che viene dal nord portandosi un master in Business Administration conseguito negli Stati Uniti, e il militante grillino di Cinecittà chiamato “Coicine” o “uomo bancarella”, informatico dall’aria dimessa e dalla querela facile, non era solo un conflitto antropologico. Non conteneva solo elementi e stereotipi da commedia dello strapaese, il rigore settentrionale contro la disponibilità meridionale agli accomodamenti, la competenza tecnica contro l’improvvisazione, lo spaesamento del milanese che non metterebbe mai delle bancarelle a vendere mutande in piazza Gae Aulenti e che dunque, in buona fede, rimane di sasso di fronte a quello che succede a Fontana di Trevi e a Piazza Navona. E infatti, a ben guardare, questa storia dell’assessore grillino legato a Casaleggio che denuncia pubblicamente il consigliere comunale grillino legato alla Raggi rivela fino a che insospettabile punto a Milano, alla Casaleggio, dove Meloni è di casa, osservino con preoccupato, crescente, inoccultabile disappunto quello che succede a Roma. Diceva Luigi Di Maio, mesi fa, a un ambasciatore straniero: “Dopo le elezioni politiche ci liberiamo della Raggi. Prima sarebbe un disastro d’immagine”. Per questo Meloni abiura. A marzo si vota. Poi tocca a Roma?