Angelino Di Battista non si ricandida, la Lorenzin verso il Pd
Lunedì la direzione di Ap voterà la linea: con Matteo Renzi o da soli. A seconda della votazione il partito si potrebbe anche spaccare
Roma. Angelino Alfano imita Alessandro Di Battista e annuncia a “Porta a Porta” che non si ricandiderà: “Dal 5 di marzo, se si voterà il 4, non sarò né ministro né deputato. Io non starò seduto sui banchi del prossimo Parlamento perché ho scelto di non ricandidarmi alle prossime elezioni e voglio compiere questo gesto perché quello che ho fatto in questi anni è stato dettato da una sincera passione per l’Italia, quando il paese rischiava di andare giù per un precipizio”.
Come Di Battista, il ministro degli Esteri farà comunque “campagna elettorale, non lascio la politica, mi riprendo un pezzo della mia vita fuori dal palazzo”. Non c’entrano però figli cui dedicare instant-book (nel caso i “Diari di Angelino” sarebbero una rubrica di sicuro successo sul Foglio, ma per ora ci accontentiamo degli originali di Dibba e del nuovo libro di Gaetano Quagliariello per Rubbettino: “Sereno è. Scena e retroscena di una legislatura spericolata”). Dice Alfano: “Hanno influito in me anche gli attacchi che io sono convinto siano stati ingiusti”. Saranno mica state le preziose attenzioni di Gazebo? Chissà. Ma se Alfano ha già deciso che fare (cioè non fare), il suo partito, Ap, è indeciso sul da farsi. Nel senso che lunedì ci sarà la direzione del partito e sarà votata la linea: con il Pd o da soli. A seconda della votazione, peraltro, Ap si potrebbe anche spaccare.
Ieri intanto si è svolta una riunione ristretta con Alfano, il capogruppo alla Camera Maurizio Lupi Lupi, la presidente dei senatori Laura Bianconi, la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, il sottosegretario e vice coordinatore Antonio Gentile, Fabrizio Cicchitto e Sergio Pizzolante, il tesoriere Paolo Alli. Di fatto c’è chi ha già deciso: Lorenzin, Cicchitto, Pizzolante convergono verso il partito di Renzi e potrebbero far parte di una lista centrista a sostegno del Pd. Roberto Formigoni ha proposto di tornare nella casa madre del centrodestra ma, messa ai voti, la sua idea ha preso tre preferenze su un’ottantina: “Si sta ingrossando sempre più il gruppo per il quale il rapporto con il Pd è finito – dice adesso – e che voterà conseguentemente. Se non si decidesse in questo senso nella prossima Direzione, la scelta di non proseguire più il rapporto con il Pd è stata comunque fatta”.
La linea autonomista della corsa in solitaria è portata avanti invece da Maurizio Lupi. L’ex ministro delle Infrastrutture insiste perché Ap vada da sola alle elezioni, anche per avere le mani libere sulle alleanze nelle prossime Regionali. Sia Matteo Renzi sia Silvio Berlusconi lo hanno tentato con un’offerta di ricandidatura ma lui non sa di chi fidarsi. Forse non di Renzi, che di posti a disposizione parrebbe averne sempre meno. La strada non è semplice per l’ex ministro, anche perché in Lombardia è in corso una competizione serratissima con Formigoni, che non è un avversario agevole. Competizione che non è solo politica, ma anche interna a Comunione e Liberazione, di cui sia Lupi sia Formigoni sono due autorevoli esponenti.
Difficile insomma che Ap prosegua il suo cammino senza perdere altri pezzi. “Solo se stiamo uniti valiamo il tre per cento”, dice un deputato, sufficientemente sconsolato. “Altrimenti siamo nullità”.