Cercasi partito europeista che unisca le forze liberali e popolari
L’appello di otto giovani amministratori locali: no al populismo, pensiamo a crescita e futuro, non solo a tasse e pensioni
La campagna elettorale alle porte assomiglia tanto al momento che precede l’esecuzione della pena capitale, in cui il condannato è lasciato libero di esprimere l’ultimo desiderio prima della sua fine. È la condizione in cui ci troviamo noi giovani generazioni di italiani. Da una parte chi promette “più bonus per tutti”, dall’altra “più pensioni”, passando dal mezzo in cui si trova chi promette la fine del lavoro insieme ad un reddito minimo garantito dallo Stato a mo’ di compensazione.
Si dice che ormai la competizione non è più tra destra e sinistra, ma tra “responsabili” e “anti-sistema”. In realtà, a giudicare dalle prime battute, sembra che le forze in campo siano accumunate dall’essere semplicemente contro un sistema che si regga su conti in ordine. Non si vedono troppi “responsabili” in giro, a dire il vero. Lo stesso Pd, che aspirava a costruire un Partito della nazione quale architrave della tenuta delle istituzioni di fronte all’ondata dei populismi, non sembra molto dissimile da chi vorrebbe sfasciare i conti pubblici attraverso politiche neo-assistenzialiste come i 5S. Lo dimostrano le dichiarazioni di Renzi che, oltre a benedire i nuovi 21 bonus che la legge di stabilità introduce andando così ad aumentare la selva delle circa 500 agevolazioni e detrazioni tra le più numerose d’Europa, ne promette di ulteriori. Dice onestamente che non sono diminuzioni di tasse, ma va da sé che se si volesse toccare le aliquote allora il segretario dem si dichiara disposto ad andare a Bruxelles a “battere i pugni sul tavolo” per chiedere più flessibilità di bilancio. Che tradotto significa: per diminuire le entrate la Ue deve concedere la possibilità di fare più disavanzo, cioè più debito. Del resto la richiesta di maggiore flessibilità di bilancio è stata il leitmotiv di chi quest’anno ha portato il surplus primario (cioè la differenza tra entrate ed uscite al netto degli interessi) ad un livello più basso del 2012: 1,7 per cento contro il 2,5. E veniamo a quanti promettono l’aumento delle pensioni. Buona parte del nostro debito pubblico è causata proprio dai disavanzi degli enti pensionistici e assistenziali pubblici. Sganciare l’età pensionabile dalle aspettative di vita e annunciare aumenti indiscriminati delle pensioni correnti significa solo perseverare nell’errore. Perché tutto ciò non tiene conto del fatto che i trattamenti erogati agli anziani di oggi non equivalgono a quanto accumulato dai lavoratori di ieri, bensì ai contributi versati dai pochi attuali occupati. Tra l’altro in uno scenario demografico che vede gli attuali 13,5 milioni di over 65 salire a 20 milioni nel 2050, in un Paese che ha smesso di fare figli (-100 mila negli ultimi otto anni) e non si è mai dotato di politiche familiari degne di questo nome. La riforma Fornero del 2011, che forse ha introdotto rigidità all’uscita e sicuramente ha prodotto gli esodati, ad ogni modo ha garantito una previsione di minore spesa per 80 miliardi fino al 2020. Invece di ridurre il cuneo fiscale per facilitare la creazione di nuovo lavoro, ed evitare un aumento del 9 per cento solo nell’ultimo anno di laureti che scappano all’estero, o finanziare politiche attive che garantiscano non tanto il posto quanto la continua occupabilità delle persone (e questa è la grande promessa tradita del jobs act), assistiamo all’assalto alla diligenza che penalizza ancora una volta le giovani generazioni.
Ogni proposta politica ascoltata fino ad ora poggia sull’idea di finanziare qualunque azione con il credito al consumo, ovvero sostenere la spesa corrente spingendo i pagamenti in là nel tempo. L’Europa diventa così il capro espiatorio su cui far precipitare tutte le responsabilità e le teste delle generazioni future quelle su cui far ricadere i debiti. Nel dibattito politico manca una voce fuori dal coro. Manca una proposta che s’incarichi di guardare sul lungo periodo, assumendosi la responsabilità di rinnovare un patto di solidarietà tra generazioni che non scarichi tutti gli oneri dei padri solo sui figli. Manca una voce che ribadisca una cosa molto semplice: si tagliano le tasse in modo mirato a chi produce ricchezza e genera figli, ma solo dopo aver tagliato la spesa pubblica e accettato di rivedere il perimetro di intervento dello Stato. Manca insomma un grande soggetto liberale e popolare, alternativo al partito centralista delle politiche a debito.
Noi siamo giovani under quaranta, impegnati nelle amministrazioni dei nostri territori che, in questi anni, hanno viste ridotte le proprie risorse per una sorta di federalismo alla rovescia, finalizzato ad ingrassare lo Stato centrale. Basti pensare che l’Imu ha trasformato gli enti locali in esattori per conto terzi e il 36 per cento delle entrate proprie delle province è andato a coprire misure come il bonus di 80 euro. Noi crediamo invece nelle autonomie responsabilizzate, nella capacità delle nostre grandi aree urbane di competere in ricerca ed innovazione a livello globale, trainandosi dietro lo sviluppo del resto del paese. Tutto questo però deve trovare un interprete in un soggetto politico federalista e al tempo stesso convintamente europeista, antistatalista e sussidiario, attento valorizzatore della libera iniziativa dei cittadini, singoli o associati, nell’offerta dei servizi. Da qui il nostro appello a quanti possono unire le proprie forze perché alla prossime elezioni sia riconosciuta a noi e a tutti gli italiani la possibilità di votare una lista con queste caratteristiche.
Filippo Boscagli, consigliere comunale a Lecco
Andrea Brugora, consigliere Municipio 1 a Milano
Luigi Colantuoni, consigliere Municipio 2 a Milano
Matteo Forte, consigliere comunale a Milano
Deborah Giovanati, assessore Municipio 9 a Milano
Silvio Magliano, consigliere comunale a Torino
Oscar Strano, presidente consiglio Municipio 4 a Milano
Simone Venturini, assessore Comune di Venezia