Altero Matteoli (foto LaPresse)

E' morto Altero Matteoli, che sfidò il caos della politica italiana

Giuseppe De Filippi

Si è preso insulti e denunce. Ma combatteva l’incompiutezza con i mezzi propri della politica

Finisce a 77 anni con un incidente su quell’Aurelia precaria, non completata, sempre un po’ da sistemare, o addirittura da sostituire con un altro tracciato, la vita di Altero Matteoli.

 

Il ministro (e presidente della commissione Trasporti al Senato) che aveva provato a togliere un po’ di precarietà dalle nostre opere pubbliche, a metterle in ordine, a indicare tracciati migliori. La politica, il fare politica, per lui, dopo anni a soffrire nella improduttiva segregazione missina, si erano compendiati nel progetto di Alleanza Nazionale, nella nascita di quello schieramento così all’apparenza ben piazzato per rappresentare stabilmente un fronte conservatore, moderato, perfino serio.

 

La politica era lì, fatta e conclusa, il resto, cui si dedicava con impegno, era amministrazione, sia pure di alto livello. Uomo ben piazzato nella sua Toscana, aveva visto che, alle strette, anche l’ideologia dominante in città rossissime come la Livorno di cui era stato consigliere comunale – ovviamente di opposizione per il Msi – si metteva un po’ da parte per provare a gestire, a migliorare le cose, a rendere le città più efficienti, i collegamenti migliori, ad aprire cantieri e a farli arrivare a compimento.

 

Lo sanno fare loro? Provo anche io, sembrava dire, e provo a essere anche più bravo, levando un po’ di fissazioni e di luogocomunismo. Li sfidava su quel terreno, i suoi rivali politici, e con quell’approccio era riuscito a scalare il potere. E del potere aveva fatto uno strumento per tentare di combattere nella battaglia, impari, contro l’incompiutezza. Affrontando con serenità rispettosa i fischi di costruttori incattiviti che nel 2011, assemblea dell’Ance, lo presero di petto per gridargli addosso la rabbia sui ritardi nei pagamenti della Pubblica amministrazione, sulla lentezza dei nuovi appalti, sulle regole non funzionanti. Si prese i “vattene, vergogna”, l’indignazione, l’irrisione (“questa cose ce le hai già dette l’anno scorso, basta”). E dovettero fargli male, suonando ingiusti contro un ministro che combatteva con gli strumenti possibili, come legge obiettivo e regole complesse nei rapporti con enti locali e altri interessi, e provava a spingerli dove non potevano arrivare. Avrebbe voluto un mondo in cui amministrare e realizzare fossero obiettivi possibili, si trovò il caos acefalo italiano. Si prese, tre mesi fa, anche una condanna in primo grado a quattro anni per corruzione, per essersi impegnato a sostenere un altro progetto simbolo di incompiutezza, il Mose. Amareggiato, dava la rituale risposta sulla fiducia nella magistratura, ma ancora più fiducia, in se stesso, aveva nel dire che “non sono un corrotto e mai ho preso soldi da qualcuno”. E gli si è creduto, fuori dalle aule dei tribunali, senza esitazioni.

 

Altre opere sono state realizzate, e progetti avviati in modo concreto ora stanno dando frutti (gli si deve almeno una parte del riavvio poi vincente della Salerno-Reggio Calabria e importanti risultati per la grande viabilità del Nord, per l’alta velocità, per i porti). Ma ad attenderlo c’era ancora l’incompiutezza, anche quella politica, con la sua Alleanza Nazionale, smembrata, svuotata, inglobata senza rispetto nel fratellismo italiano – nel 2013, con la fine del Pdl, era entrato in Forza Italia. E la strada che ha percorso chissà quante volte tra Roma, Cecina dove era nato, Orbetello dove era stato sindaco dal 2006 per cinque anni, lo ha tradito. L’Aurelia che, per lui, non avrebbe dovuto neppure più percorrersi, trasferendo il traffico su quella Autostrada Tirrenica che non vedrà completata.

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