Vincenzo Spadafora al Festival del cinema di Venezia nel 2013 con Cécile Kyenge Kashetu, ministro per l'Integrazione

Vincenzo Spadafora, sua eminenza grigia

Marianna Rizzini

Dall’Unicef al M5s. Chi è l’uomo della casta che aiuta Di Maio, leader dell’anticasta

In vista delle elezioni 2018, il candidato premier del M5s Luigi Di Maio apre alle alleanze: "Se non prendiamo il 40 per cento, governeremo con chi ci sta" dice in un'intervista a Circo Massimo, su Radio Capital. Il candidato grillino sostiene che "la nostra squadra di governo sarà patrimonio del paese non del Movimento 5 stelle". Contrario a un Gentiloni bis di breve durata: "L'idea proposta da Berlusconi mi terrorizza", ha detto. Anche perché una legislatura di pochi mesi gli impedirebbe di ricandidarsi nuovamente. Per il momento è certo però che "Alessandro Di Battista non sarà fra i ministri, me lo ha chiesto lui", ha proseguito il leader pentastellato. Pronto quindi alla campagna elettorale e anche al confronto televisivo con gli altri rivali, "con tutti i candidati premier delle altre forze politiche. Ci facciano sapere chi sono".


    

Gli indizi c’erano tutti – mancava il caso. Poi è nato il caso, e la ricerca dell’indizio s’è fatta punto centrale dell’operazione “decrittare il tessuto di relazioni” della nuova classe grillina che si propone come potenzialmente governativa (nonostante gli anni di slogan anti-tutto e di tentata apertura della cosiddetta “scatola di tonno”). Fatto sta che il caso Spadafora – dal nome del quarantatreenne Vincenzo, responsabile delle relazioni istituzionali del vicepresidente della Camera e candidato premier a Cinque stelle Luigi Di Maio – è diventato uno dei principali casi attorno a cui si esercitano le abilità investigative degli osservatori di élite prossime venture. Prima di tutto per via del curriculum palindromo di Spadafora medesimo. Che tu lo legga da destra o da sinistra, il significato rimane infatti immutato: ex capo segreteria di Francesco Rutelli quando Francesco Rutelli era ministro dei Beni culturali, ex uomo-macchina ai vertici dei Verdi ai tempi di Alfonso Pecoraro Scanio, ex presidente Unicef, ex Garante per l’Infanzia e l’adolescenza con nomina arrivata dai presidenti delle Camere di centrodestra Gianfranco Fini e Renato Schifani, ex giovane speranza per i montezemoliani in giorni pre-governo Monti.

  

Nonché, scendendo verso il passato remoto, ex apprendista politico nella Campania post Dc, sotto la guida dell’ex presidente mastelliano della giunta regionale campana Andrea Losco, già sindaco di Cardito, il luogo dove Spadafora è cresciuto e dove ha cominciato a muovere i primi passi nel volontariato e nella pubblica amministrazione. E insomma il plenipotenziario di Di Maio, colui che fa da traghettatore tra i trascorsi “local” del candidato premier a Cinque stelle e il presente aspirazionale e internazionale dello stesso (viaggi a Londra, Washington e Cernobbio), ha attraversato stagioni politicamente opposte non risentendone, anzi: la costruzione del suo avvenire è proseguita tranquilla lungo la linea ascendente percorsa di solito da chi potrebbe essere definito, in modo grossier, “uomo per tutte le stagioni”, non fosse che Spadafora non soltanto non si considera tale e “si offende”, come dice chi lo conosce, quando qualcuno lo definisce capace di rapide metamorfosi o di aggiustamenti felpati nel posizionamento, ma pensa, come ha scritto nel libro-manifesto “La terza Italia” (Mondadori), indizio precoce ma certo (era il 2014) di future intenzioni ambiziose, che il filo conduttore sia un altro: “Nell’Italia che vorrei per figli e nipoti”, ha scritto, “lo Stato deve fare lo Stato, perché gli uomini si sono messi insieme anche per difendersi reciprocamente riconoscendo a una testa centrale il ruolo di decidere il meglio per tutti (Thomas Hobbes)”.

     

Non basta. Sempre nel “manifesto di un paese che non si tira indietro”, sottotitolo del libro suddetto, l’ex Garante per l’Infanzia e l’adolescenza che parlava allora come un quasi-candidato in procinto di sciogliere la riserva per la candidatura, ma che non si era voluto candidare con nessuno, men che meno con i post-montezemoliani nonostante l’impegno profuso presso “Italia futura”, si autodescriveva come una specie di Frankenstein, creatura ibrida e sintesi di diverse attitudini: “Avrei tanto voluto diventare presentatore tv oppure prete, più conduttore che sacerdote, a esser sinceri. Alla fine mi sono avvicinato a entrambi, in modo piuttosto bizzarro. Qualcuno, scorrendo la mia biografia, potrebbe sostenere che mi sono inventato una crasi, soprattutto considerando gli anni spesi all’Unicef (anche come presidente) e quelli da Garante per l’Infanzia e l’adolescenza: alla fine davanti alle telecamere e alle platee ci sono stato, ricoprendo ruoli di pesante responsabilità morale”.

 

E insomma a dieci anni il piccolo Vincenzo, nato ad Afragola da famiglia di ceto medio, ma cresciuto a Cardito, negli stessi luoghi in cui è cresciuto Di Maio e che nella prosa di Spadafora restano saldamente ancorati ai contorni savianeschi (nel senso di Roberto Saviano) delle terre anche dette “Terra dei fuochi”, si fece confezionare dalla mamma un abito talare e, vista “l’influenza positiva” del parroco don Antonio, chiese di poter essere avviato alla vita di seminarista. La cosa durò pochissimo: la nostalgia di casa, di un’infanzia normale, dei genitori e del fratello si fece intensa dopo neanche una settimana, e la prospettiva religiosa prese un’altra via (Spadafora, da grande, resta un tipo devoto, ma anche molto ben inserito in ambienti vaticani e gesuitici).

   

  

Tuttavia uno che scrive un “manifesto” per l’Italia senza candidarsi, da qualche parte in politica voleva arrivare, nulla togliendo all’afflato volontaristico ventennale a favore di bambini e adolescenti, con viaggi in Sierra Leone, Ruanda, Indonesia, Palestina e incessante opera di sensibilizzazione presso governi e parlamenti. Ma a questo punto il mistero è un altro: com’è accaduto che si avvicinasse al grillismo anticasta, ricambiato di fiducia nientemeno che dai casaleggiani ortodossi, lo Spadafora che, agli occhi dei Cinque stelle prima maniera, poteva anche apparire esponente della cosiddetta “casta” (seppure in ruolo socialmente utile), con tali e tante conoscenze diplomatico-politico-imprenditoriali da far sobbalzare qualsiasi fissato complottista anti-Trilateral, e con l’aggiunta del particolare che in altri casi avrebbe fatto da mannaia preventiva? Il nome di Spadafora compare infatti, nel 2010, anche se mai in veste di indagato ma soltanto di “evocato”, nelle intercettazioni riguardanti il pasticciaccio mediatico-giudiziario conosciuto come caso “Angelo Balducci, Diego Anemone, gli appalti e la cricca”, roba di conoscenze incrociate e favori sospetti negli ambienti che contano. Spadafora compare en passant, come il conoscente a cui, a un certo punto, Balducci si rivolge per far avere al figlio uno stage retribuito presso l’Unicef, stage poi ottenuto.

     

Dopo la tempesta, passa per la reciproca voglia di raggiungere territori dove finora non si era arrivati, il mistero dell’avvicinamento reciproco Spadafora-M5s, costellato di consigli dati a Di Maio sul futuro posizionamento istituzionale e internazionale, e con viaggi del vicepresidente della Camera favoriti per così dire dall’esperienza e dalle conoscenze estere dell’ex presidente Unicef, ma anche di suggerimenti sulle figure che secondo Spadafora erano adatte a sostenere, sul lato umanitario, il sindaco di Roma Virginia Raggi in tempi in cui Di Maio doveva monitorare, dalla Camera, la situazione in Campidoglio: arrivò dunque l’assessore alla Persona Laura Baldassarre, ex Unicef come Spadafora, ma i buoni uffici di Spadafora non hanno mai impedito il deflagrare di crisi di varia gravità in seno alla giunta a Cinque stelle.

 

Intanto però Spadafora, accettando l’incarico con Di Maio, impediva a se stesso lo scivolamento nel limbo di chi, verso la fine della legislatura, deve attendere il corso degli eventi. Da neo responsabile delle relazioni istituzionali, dunque, l’ex Garante per l’Infanzia cercava di non apparire troppo, anche per non scatenare invidie nell’inner circle del vicepresidente della Camera. Tuttavia lo si vedeva lo stesso: convegni, trasferte, tavole rotonde, festival, ché Spadafora è cinefilo (è stato più volte alla Mostra di Venezia e quest’anno ha partecipato con soddisfazione, durante la Festa del cinema di Roma, alla cena di Vanity Fair per David Lynch).

   

E’ anche cinofilo (ha un cane amatissimo preso al canile) e canta per diletto, cosa che lo rende simpatico ai giri radical-chic amanti del karaoke. Ha amici nel mondo dello spettacolo e presso gli aristo-chic romani, particolare, questo, che ne rafforza il profilo non-anticasta. Proprio per questo, però, è perfetto per la seconda fase grillina, pur non avendo mai fatto sospettare la presenza di un grillismo in nuce nel suo pensiero: i “signori nessuno” a Cinque stelle, venuti dal web, un tempo felici di essere totalmente sconnessi dal mondo che conta, oggi hanno bisogno di gente che conosca chi è qualcuno. E Spadafora non soltanto conosce chi è qualcuno. Più o meno conosce tutti (“a Cernobbio salutava sto mondo e quell’altro”, dice un cronista).

    

C’è però un antefatto che, se non spiega fino in fondo la conversione grillina nell’animo dello Spadafora legato al centro-sinistra, e un tempo incaricato dal Rutelli ex ministro del Beni Culturali di organizzare gruppi trasversali di giovani post-ideologici, almeno illumina la tempistica: l’ex Garante per l’Infanzia e l’adolescenza, infatti, che a fine mandato aveva sperato nell’interessamento del Pd (il partito che anni prima l’aveva indicato per la presidenza delle Terme di Agnano) per l’eventuale cambiamento della norma che prevedeva il non-rinnovo della nomina, aveva trovato però “un muro”, così dicono in Parlamento. Oltre a una lieve ma percepibile resistenza presso Laura Boldrini, neo-icona della sinistra “Libera e Uguale”, già presidente della Camera ed ex Alto commissario Onu per i Rifugiati. Una figura che avrebbe dovuto avere, in teoria, grande affinità ideologica con l’ex Unicef Spadafora, alto funzionario che già nel 2011 parlava di “dare la cittadinanza a tutti i bambini nati in Italia” e che, sul tema immigrazione-Ong-respingimenti, argomento per i Cinque stelle molto divisivo, si collocava su una linea boldriniana anzichenò.

     

E insomma c’è chi, conoscendo Spadafora, dice che la conversione è stata “inconsciamente facilitata, anche se non interamente determinata”, da quella che l’ex Garante ha vissuto come “sottovalutazione” da parte dell’ultimo partito di riferimento in ordine di tempo e del centrosinistra parlamentare nel suo insieme. Tuttavia la nuova avventura grillina non prevede per Spadafora un cambio di attività: con Di Maio l’ex Garante fa quello che sa fare da lungo tempo, e che ha imparato al vertice dell’organismo umanitario che ha presieduto: è sempre stato, infatti, un uomo di relazioni istituzionali e contatti imprenditoriali (a Italia Futura, per esempio, era arrivato attraverso Carlo Pontecorvo, proprietario dell’acqua Ferrarelle e partner di Unicef). Ed è sempre stato uno che, dopo aver rimpianto, come ha scritto, di non essersi laureato, ha compensato con l’esperienza lavorativa e volontaristica avviata alle scuole medie. Spadafora, per dirla con un conoscente, “sa aprire porte”, “non alza mai troppo i toni”, “è moderato in tutto, anche nell’accento campano che quasi non sembra campano”, e poteva avere rapporti cordiali con Enrico Letta (ai tempi d’oro del lettismo era stato avvistato in zona “VeDrò”, il famoso think tank dell’ex premier) come con l’ex ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni.

   

“Ossessivo” del volontarismo fin dall’adolescenza – anni fa ha raccontato a Vittorio Zincone, su “Sette”, che al liceo “tempestava le amministrazioni dell’hinterland napoletano con progetti per togliere i ragazzi dalle strade” – e stimatissimo dal fondatore dell’Unicef Italia Aldo Farina, che lo chiamò a lavorare a Roma appena diciottenne, Spadafora l’uomo-ombra, il tessitore di contatti, non è esattamente un’eminenza grigia nello stile (è noto per le cravatte “troppo alla moda”, dice un’autorità dell’eleganza). Non teme di esagerare quando parla di sé, e così infatti parlò di sé nel suo libro: “Su Wikipedia dovrei scrivere: ‘Vincenzo Spadafora è uno che ci crede’. Purtroppo, però, l’enciclopedia digitale non prevede tanta semplicità romantica di autodefinizione. Così, l’altro giorno, sono rimasto bloccato davanti allo schermo del computer, rimandando ad altro momento la creazione della mia pagina e risentendo il sapore agrodolce di non poter dire chi sono”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.