Gli sfondano la fronte, lui non se ne accorge e continua il match
In politica se cadi ti calpestano ma se te le vai a cercare è ancora peggio. L’Italia e il trionfo della Grande Chiacchiera
Si potrebbe riassumere tutto con un titolo malandrino, più foto, di ieri sul web: “Un pugno gli sfonda la fronte, non se ne accorge e continua il match”. Il pugno è arrivato il 4 dicembre scorso nel referendum, i round si succedono, gong dopo gong, come nulla sia avvenuto. Ma Renzi arriverà alla fine della partita, nel prossimo marzo, in condizioni che solo l’eufemismo consente di definire “non invidiabili”. Questa non è roba per Ghizzoni il banchiere e De Bortoli il giornalista banchiere, non dipende dal cosiddetto “assetto tattico” di Maria Elena Boschi in un paese di molti Bellomo, il magistrato che ancora non capisce come la richiesta di tacchi alti e minigonne non faccia parte delle sue competenze giuridiche. Le chiacchiere sono chiacchiere, i ministri e i loro amichetti (chi può giurare di non essere stato al matrimonio di Marchino Carrai?) non commettono reati in conflitto di interesse se chiacchierano di banche; l’audizione di Visco dimostrò che non c’è nulla di nulla, in questo scandalo fatto di chiacchiere, a dimostrazione dell’essenza ormai puramente chiacchierona di un sistema mediatizzato a dovere, mediatizzato come un tamburo. C’è il papà di una bella donna di successo (quello sì un grave reato) commissariato nella sua aziendina di credito locale, una banca minore trattata come le altre, e una certa quota di risparmiatori o investitori che sono stati, termine tecnico, “ristorati”, cioè rifusi di piccoli capitali perduti all’inseguimento di tassi di interesse fuori mercato e molto a rischio. Non ci sono “pressioni”, non ci sono fatti, il rilievo amministrativo o penale di un sms da millantatore è escluso in linea di principio, non c’è una crisi sociale delle famiglie, nessuno è morto di fame o di stenti, tra esodati riprotetti e ristorati, tutte definizioni perfette dell’italiano in assetto strategico, c’è solo la Grande Chiacchiera avvolgente che condanna la famiglia Boschi, una affabulazione travolgente, che è la pasta di cui è fatta la lotta politica nel paese che liquidò Berlusconi con il bunga bunga, la Fornero e Monti con un piantarello e il dandysmo accademico di un loden (copyright di Maurizio Crippa), e ora si appresta sperabilmente a nominare un presidente del Consiglio post-elettorale che sia chiunque, con l’eccezione di Giggino, dell’altro Matteo e di Renzi. Si voleva il rétour à la normale, e mentre Macron a Parigi fa il pre-Renzi, tra buoni cultura ai giovani e articolo 18, ma con istituzioni dalle balle d’acciaio, a Roma si ricomincerà – se non vada assai peggio – dal governo Pella degli anni Cinquanta.
Se l’è andata a cercare? Non direi. Tener su Enrico Letta non era più sostenibile, vista l’attesa a Sciences Po per le sue lezioni di politica e scaltrezza tattica, visto che le primarie erano state vinte da lui, Renzi, il programma c’era, l’urgenza c’era, e con la Boschi hanno dominato il cuore della legislatura realizzandolo fino allo schianto del 4 dicembre, visto per di più che Letta per decisione della Cassazione aveva perso Berlusconi e la squadretta con Alfano aveva bisogno di ben altra biada. Sul governo dei tre anni nulla da dire. Era fondato su un patto detto “del Nazareno”, con il Cav. e un altro Letta e Verdini, per fare varie cose, tra le quali la riforma istituzionale, annunciata alla garibaldina in quel Senato dove ora Renzi si ripresenterà. E le riforme stile Bce sono state fatte, e non c’era molto altro da fare per rimettere in sesto la carretta improduttiva e indebitata ricevuta in eredità, ma il patto poi si è rotto perché Berlusconi aspettava l’elezione al Quirinale di Amato, che gli aveva promesso la grazia presidenziale, e invece, avendo manovrato come al solito con eccessiva spregiudicatezza intrugliando D’Alema, si è ritrovato Mattarella, con il consenso aulico e unanime di Bersani e soci, e di tanta altra bella gente. Il pugno arrivò quando la guardia non era né alta né bassa, per quanti errori siano stati fatti il referendum era là, inevitabile, e la posta in gioco alta: con un cinque virgola qualcosa spostato, ora si voterebbe solo per la Camera, al Cnel avrebbero fatto le valigie, il numero dei parlamentari sarebbe decurtato secondo i voti dei marrazzoni, e si procederebbe con un ballottaggio tra Giggino e Matteo R., dall’esito macroniano sicuro. E molti milioni di italiani, la stampa e la televisione in capo ad essi, starebbero a felicitarsi di questo Napoleone Bonaparte di Rignano. Dispettosa e caratteriale, visto che la storia non si fa con i “se” ma sotto la sua occhiuta sorveglianza, la Provvidenza ha disposto le cose altrimenti. Amen.
Il dopo è il problema. Le cose italiane erano in via di miglioramento, nonostante il comportamento rumoroso e chiacchierone del pubblico e dei suoi tribuni. E’ evidente che la rottamazione aveva prodotto buoni risultati generali, e dentro questo paradosso bisognava saperci stare. Come? E’ noto in politica che se cadi ti calpestano.
E allora, sebbene la scelta fosse difficilissima, forse sarebbe stato necessario cambiare gioco e non offrire il proprio corpo, non fare finta che il pugno non era stato dato e la testa non si era fracassata. Sono saggezze del senno di poi, robetta, ma sono saggezze. Senza Renzi e la Boschi, con un capitale posto in riserva in una di quelle grandi banche che piacciono ai De Bortoli, mica all’Etruria, magari a Palo Alto, Ca., forse oggi avremmo una classe dirigente rispettata, con il suo bottino di realizzazioni, competitiva seriamente per il governo del paese. Forse no. Forse era impossibile. Ma qualche dubbio in soggettiva, sulla lucidità del boxeur, viene quando il giovinotto da lui scelto per guidare la comunicazione, dico la comunicazione, fa ieri l’altro una bella performance in video, parlo di un altro Matteo, ancora uno, il Richetti, in cui dice che da domani si fa campagna elettorale ma per adesso bisogna sapere che il suo mandatario Renzi è un logorroico che va in giro a fare il vantone, non conosce il rispetto della parola data, e forse dovrebbe cambiare mestiere visto che il Pd è in una situazione da piangere. Il portavoce, non lo si sapeva, è il portavoce postumo dell’accozzaglia. Andarsele a cercare? Mah.