Si sta come/ d'autunno/ sugli alberi/ le Boschi
Etruria, Ghizzoni, il Pd. Una non storia diventata scandalo spiega tutto sull’istinto autodistruttivo del renzismo
Come si fa a riaccendere una candela che ogni giorno si spegne sempre di più? L’audizione tenuta ieri dall’ex amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, dinnanzi alla commissione d’inchiesta sulle banche ha offerto elementi utili per fare chiarezza non solo sul caso politico dell’interventismo di Maria Elena Boschi su Banca Etruria, banca di cui il padre di Boschi era vicepresidente, ma anche sul caso psicoanalitico del progressivo e forse inarrestabile suicidio del renzismo. Se visti con un po’ di freddezza e con un briciolo di distacco, i documenti e le audizioni messi agli atti dalla commissione sulle banche ci dicono alcune cose chiare. Maria Elena Boschi si è interessata più volte della banca del suo territorio e di cui il padre era vicepresidente, come ha ricordato anche ieri Ghizzoni (“La ministra Boschi mi chiese se era pensabile per Unicredit valutare l’acquisizione o comunque un intervento su Banca popolare dell’Etruria”), ma durante gli anni in cui Renzi ha governato l’Italia nessun banchiere, nessun membro della Consob, nessun membro della Vigilanza, nessuna istituzione ha subìto pressioni, su Banca Etruria, dal governo Renzi-Boschi. E negli anni in cui Renzi (con Boschi) ha governato l’Italia Banca Etruria non ha ricevuto alcun trattamento privilegiato, essendo stata commissariata nel 2015 (con disposizione di scioglimento firmata dal ministero dell’Economia su proposta di Bankitalia), essendo stata venduta (2017) a un gruppo di banche privato guidato da Ubi (non da Unicredit) ed essendo stata oggetto di una multa da parte della Consob che ha colpito anche il padre di Maria Elena Boschi (sanzione di 120 mila euro).
Lo scandalo di Banca Etruria è dunque la storia di un non scandalo (e dall’audizione offerta ieri da Federico Ghizzoni sappiamo anche che, al contrario di quanto sostenuto da Ferruccio de Bortoli nel suo famoso libro sui poteri forti, l’ex ad di Unicredit non ha trovato inusuale ma “normale” le richieste di Boschi, non ha attivato le opportune valutazioni patrimoniali per l’acquisizione di Banca Etruria dopo il colloquio con la Boschi, incontrata a dicembre 2014 e non a dicembre 2015 come scritto da De Bortoli, ma le ha attivate a partire dal settembre 2014, facendo seguito a una richiesta di Mediobanca). Ma la ragione vera per cui un non scandalo (e una non storia) è diventato il simbolo della crisi del renzismo ci dice molto sulla difficoltà oggettiva di un mondo che dal 4 dicembre 2016 in poi, non dando seguito alle sue promesse, rifiutandosi di prendersi qualche anno sabbatico, di ricominciare da capo, di trovare una nuova storia da raccontare e non solo una vecchia da ricordare, non ha più trovato le parole giuste per spiegare e per imporre la sua idea d’Italia senza giocare sempre sulla difensiva.
La storia di Banca Etruria, dunque, non è viziata solo dal peccato originale di Maria Elena Boschi di non aver chiesto a suo padre di non accettare la vicepresidenza di Banca Etruria (arrivata il 4 maggio 2014, due mesi dopo il giuramento di Boschi come ministro della Repubblica) ma è viziata anche da un peccato molto più grande che è l’essenza della crisi del renzismo: adeguarsi allo spirito del tempo populista, accettare che il terreno di gioco sul quale misurare la propria buona fede sia quello della demagogia anti casta (veicolata dalla commissione bancaria) e non rivendicare (da parte di Boschi) il diritto di un politico a interessarsi dello stato di salute di una banca preziosa non per il proprio padre, ma per il proprio territorio. E la ragione per cui sui giornali di oggi nessuno ricorderà che persino Ghizzoni ieri ha riconosciuto che Boschi “manifestò una preoccupazione legata all’impatto sul territorio (della crisi delle banche toscane, ndr) piuttosto che su singole e specifiche banche” non è legata solo alla malizia dei giornali che hanno trasformato un non scandalo bancario nel più grande scandalo bancario d’Italia (in audizione ieri molte domande su Boschi, zero domande sul buco da 13 miliardi di euro che Ghizzoni ha lasciato in eredità a Mustier) ma è legata anche a una scelta azzardata, e sbagliata, dell’ex ministro Boschi di difendersi con queste parole dall’accusa di essersi interessata alla banca del suo territorio.
“La storia di Banca Etruria – ha scritto Boschi il 9 maggio 2017 – viene ciclicamente chiamata in ballo per alimentare polemiche. Vediamo di essere chiari: non ho mai chiesto all’ex ad di Unicredit, Ghizzoni, né ad altri, di acquistare Banca Etruria”. Boschi ha ragione quando dice di non aver fatto pressioni e di non aver fatto favoritismi sulla banca del padre, ma è altrettanto evidente che nel momento in cui la partita si sposta sul terreno del moralismo (dai, ragazzi, facciamo a gara, vediamo chi è più lontano con i banchieri, io o voi?) basta poco per far franare tutto. Basta, per esempio, che l’ex numero uno di Unicredit riveli che il migliore amico di Renzi (Marco Carrai) ha inviato (il 13 gennaio 2015) una mail innocua per sollecitare, “se possibile e nel rispetto dei ruoli, una risposta su Etruria”. Basta, per esempio, che lo stesso ex numero uno di Unicredit ammetta che “la ministra Boschi mi chiese se era pensabile per Unicredit valutare l’acquisizione o comunque un intervento su Banca popolare dell’Etruria”, pur ricordando che “non mi fu chiesto di acquistare, lo avrei ritenuto inaccettabile, mi è stato chiesto di valutare un intervento, se era pensabile o imperativo”.
Basta questo per far finire la palla degli avversari del renzismo direttamente in buca d’angolo. Dal punto di vista economico, la storia di Etruria è la storia di una banca mal governata e salvata dal mercato e non dalla politica nonostante la presenza nel governo che ha gestito il commissariamento di quella banca di un ministro figlia del vicepresidente (su Etruria, gli unici soldi pubblici spesi, 150 milioni di euro, sono stati quelli stanziati nel luglio del 2016 nel Fondo interbancario di tutela dei depositi non per salvare la banca ma per rimborsare gli investitori che si sono visti azzerare i bond subordinati in Etruria, Banca Marche, CariFe e CariChieti). Dal punto di vista politico, invece, quella di Etruria è la storia simbolo di tutti i problemi e i guai del renzismo: una partita da giocare all’attacco che viene giocata in difesa, una storia che poteva essere lineare che diventa un arabesco autodistruttivo, un partito di governo che si fa valutare più per quello che non ha fatto che per quel tanto che ha fatto, una storia minuscola trasformata in una storia enorme in cui ciò che diventa importante non è un risultato ottenuto ma è il fact checking sugli aggettivi, sui sostantivi sugli avverbi (è intervenuta, sì o no? e se è intervenuta come è intervenuta, quanto è intervenuta, dove è intervenuta, perché è intervenuta?). Più che odore stantio di massoneria, come da celebre e infelice definizione di Ferruccio de Bortoli, nel renzismo, semmai, oggi si sente un odore stantio di faciloneria. “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”, scriveva Giuseppe Ungaretti per descrivere la sensazione provata dai soldati in trincea, durante la Prima guerra mondiale. Era il 1918. A partire da gennaio, cent’anni dopo “soldati” di Ungaretti, il Pd dovrà trovare un modo per evitare di presentarsi alle elezioni intonando una nuova poesia: “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le Boschi”. Il tempo c’è. Forse.
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