Francesco Ferri, l'uomo nuovo del Cav. per il programma economico
Chi è il presidente del think tank liberale (e pre-elettorale)
Roma. Tutti ne parlano (nel centrodestra), e non da oggi. Ma il clima natalizio e lo scambio di auguri forzato, complice il relativo ozio, ha contribuito a far circolare con più insistenza la voce che sottotraccia aveva preso piede: il Cav.2.0, cioè il Silvio Berlusconi ributtatosi in pista, è sempre più convinto di avere con sé, in prospettiva, parte della giovane classe imprenditoriale, e soprattutto di essersi avvantaggiato sul lato “programma economico”.
E questo pensiero, non peregrino ma costante, lo accompagna fin dalla primavera-estate scorsa, da quando cioè, tra Arcore, Milano e Roma, ha cominciato a testare sul campo l’uomo prescelto per guidare il Centro studi del Pensiero liberale, think tank capace, secondo il pensiero berlusconiano ottimistico degli ultimi tempi, di riportare in auge le teorie economiche della Forza Italia delle origini. Trattasi di Francesco Ferri, imprenditore quarantaduenne dalla “r” leggermente arrotata e dal curriculum che, per così dire, parla da solo al nuovo Berlusconi, propenso a non dare per scontato nulla del passato (anche nel senso della riconferma di persone, luoghi, modi e tic dialettici della precedente classe parlamentare e politica azzurra).
E Ferri, incaricato ufficialmente di coordinare l’azione dei cosiddetti “saggi” non anziani e non partitici del think tank suddetto, e ufficiosamente di trovare, nel mondo a lui vicino, possibili nomi non stantii per la campagna elettorale alle porte, si è fatto notare per il profilo da “società civile operosa”, come dice un berlusconiano di lungo corso: è stato infatti studente bocconiano, educatore nell’Azione cattolica, startupper (ha fondato Innext, società di consulenza strategica), vicepresidente dei Giovani industriali e direttore dell’Autodromo di Monza. Figlio di imprenditore edile, si è messo in proprio in altro campo, per poi espandere l’attività anche in Cina. Non si è capito se Berlusconi veda in lui qualcosa del se stesso delle origini o più che altro la porta verso i mondi perduti ma potenzialmente affini ai quali si rivolgerà con il programma economico (studiato da Ferri). Tantopiù che Ferri, già da mesi alle prese con il dossier flat tax, ora, in qualità di presidente del Centro studi del Pensiero liberale, viene invitato a parlare nei consessi in cui si cerchino lumi sul “che cosa” il centrodestra vuole dire al paese.
E così Ferri ha portato al convegno “L’Italia s’è Destra”, lo scorso ottobre, l’urgenza della “svolta liberale”, nel senso delle “priorità” per la classe dirigente, ma con impianto dialettico non scevro da potenzialità di piazza, a partire dalla citazione di Jfk che tanto piace genericamente al pubblico, non soltanto di centrodestra (“non chiedete che cosa il paese può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per il paese”), per finire con la sottolineatura dei concetti “libertà di intraprendere” e “premiare il merito”. “Ora o mai più”, diceva Ferri: è il momento di “mettere a disposizione della politica” una serie di progetti, di “offrire concetti chiave” per una “buona politica liberale” e di “riscoprire che cosa vuol dire essere italiani”.
Pubblico e privato “devono accordarsi su settori chiave”, era la sua riflessione sul caso Ilva e non solo – e a quel punto si è capito che l’imprenditore e presidente del Centro studi era già molto avanti con la riflessione ufficiosa sul programma economico del Cav. (con buona pace della vecchia guardia), e sull’osservazione delle giovani leve: sorte ha voluto che qualche settimana fa Ferri partecipasse a una giornata di formazione per i giovani del Ppe, presenti Annamaria Bernini, Maurizio Gasparri e Annagrazia Calabria.