La bandiera dello ius soli può attendere
La rispettabile ma a tratti fanatica protesta contro chi non ha votato la legge sulla cittadinanza non tiene conto dei progressi sull’immigrazione. Consiglio per la campagna elettorale: meglio non agitare simboli
Le belle bandiere sono belle, ma i poeti le dispiegano, non ci speculano sopra. Altrettanto dovrebbero fare politici e uomini pubblici a vario titolo. La legislatura fu sciolta. Non c’è lo ius soli. Per molti una bella bandiera, lo ius soli si presenta come una legge che rende semiautomatica la cittadinanza italiana per chi è nato qui. Ma tutti sappiamo che chi qui nasce la cittadinanza comunque la ottiene, con un po’ di complicazioni in più che hanno un impatto materiale e simbolico, d’accordo, ma la ottiene. Intraprendere digiuni, dannare Mattarella che non concede deroghe e i capi politici e gli assenti in Parlamento per il denegato ius soli, rinviato come problema alla prossima legislatura, è un atto rispettabile nelle intenzioni ma venato di fanatismo. Non lo stesso fanatismo che esprime la campagna illusionistica contro lo ius soli fine-di-mondo solidamente capeggiata dal garagista Salvini, ma purtroppo ad esso analogo.
Fanatiche, cioè brutte bandiere, sono anche tutte le tendenze a negare con intransigente nullismo propagandistico la realtà. Sbandieratori di sinistra e di destra dovrebbero riconoscere, ciò che non toglie al loro diritto di opposizione e di alternativa, che il controllo dell’immigrazione ha fatto progressi, e anche sull’argine introdotto al rischio di derive umanitarie non si può decentemente mettersi a discutere.
Un liberale come Michael Ignatieff, amico e sponsor del guru liberal Isaiah Berlin, ha recentemente dichiarato a Antonello Guerrera di Repubblica che c’è un solo modo di combattere l’aggressione antisistema in Europa, vale a dire “chiudere le frontiere”. Qui si è riusciti fra molte difficoltà a controllarle, che sembra meglio. Sarà pure poco per gli agitatori di simboli e idoli della folla, ma non credo nell’autenticità di una campagna elettorale tutta giocata sul forsennato, sul gridato, sull’abbandono militante e fanatizzante del giudizio razionale, pragmatico. Berlusconi, che ha esperienza e talento, e come direbbe Fazio, ma a lui non l’ha detto per conformismo, ha “avuto una vita bellissima”, deve averlo capito e si concentra su proposte come il favoloso reddito di dignità uguale per tutti, una riedizione delle mille lire al mese della vecchia canzone, e sulle Am lire, la doppia moneta: sono cose che hanno la forza e la debolezza della fantasia quando fa la sua danza in politica, ma sono ideate per far sognare, non per abbrutire la folla e incupirla con il fanatismo malinconico, la tristizia. Urbano Cairo, editore del Corriere, ha qualcosa della spensierata audacia del suo vecchio boss, ma non sembra aver capito che la borghesia italiana, e i suoi bardi intellettuali che si offrono alla demagogia, hanno sperimentato in passato gli entusiasmi e i guasti delle bandiere che sembrano belle e invece sono piuttosto brutte.
Il mondo si complica ogni giorno di più, e semplificare senza illudere, senza rimestare nel torbido, scegliendo come scrive Adriano Sofri il meno peggio, meglio meno ma meglio, ha non solo un tratto di nobiltà etica, ha anche un elemento di efficacia persuasiva, il che non pare poco nel corso di una campagna elettorale. Finirà che nessuno vince e nessuno perde davvero, come nella logica di un nuovo sistema politico simile a quello stravecchio e di un paese che non ama, nel bene e nel male, basti pensare al 4 dicembre del 2016, rotture radicali e poteri politici forti. I simboli possono attendere.