Caccia al babbo. Romanzo criminale della persecuzione giudiziaria di Tiziano Renzi
Il padre del segretario pd ha pagato per il ruolo politico del figlio, finendo in un corto circuito di infedeltà e manipolazioni
Le colpe dei padri non ricadono sui figli, e certi figli sono più ingombranti di altri. Viene da chiedersi, en début d’année (auguri!), se il signor Tiziano Renzi sarebbe finito al centro del “circo mediatico-giudiziario”, secondo la celebre definizione dell’avvocato transalpino Soulez Larivière, se il figlio fosse rimasto a rimirar lo specchio lucente dell’Arno anziché planare, in guisa di rottamatore, su Palazzo Chigi. “Questo passaggio è vitale per arrestare Tiziano”, il 3 gennaio di un anno fa il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto inonda i suoi uomini di messaggi in una chat di WhatsApp. Le domande sono incalzanti. “Per favore, qualcuno si ricorda se Romeo ha mai detto a qualcuno di aver visto, anche una mezza volta, Tiziano?”. Gli interlocutori
"Per favore, qualcuno si ricorda se Romeo ha mai detto a qualcuno di aver visto, anche una mezza volta, Tiziano Renzi?"
Eppure sui report investigativi sottoscritti da Scafarto la frase verrà attribuita all’imprenditore Alfredo Romeo, in modo da avvalorare la tesi di un presunto incontro tra lui e il padre dell’ex premier. Nel verminaio di infedeltà e manipolazioni che ha generato più reati di quanti s’intendeva perseguire, con due carabinieri – il maggiore Scafarto e il colonnello Alessandro Sessa – sospesi dal servizio e indagati per falso, segreto violato e depistaggio, Tiziano Renzi si tramuta in un novello Al Capone from Rignano, nei suoi confronti si dispiega un imponente apparato investigativo, pedinamenti, intercettazioni, nulla gli viene risparmiato. L’ipotesi accusatoria, per cui Renzi senior risulta tuttora indagato dalla procura capitolina, è quella di traffico d’influenze illecite, pena massima tre anni. Va detto, in proposito, che dalle parti di piazzale Clodio l’atteggiamento è improntato alla massima prudenza. La procura guidata dall’inflessibile Giuseppe Pignatone non intende interferire con le dinamiche politiche nel pieno della campagna elettorale.
Alcuni del Noe trasmettono le informazioni sugli sviluppi dell'"inchiesta bollente" agli ex colleghi transitati all'Aise
Nella famigerata informativa del Noe (che, per statuto, dovrebbe occuparsi di reati ambientali, non già di corruzione), si cerca di accreditare un inesistente ruolo dei servizi segreti per sviare le indagini condotte dai pm partenopei Henry J. Woodcock e Celeste Carrano. Com’è noto, si scoprirà successivamente che alcuni carabinieri del Noe, Scafarto in testa, si prodigano in una continua trasmissione di informazioni sugli sviluppi dell’inchiesta bollente agli ex colleghi transitati all’Aise, il servizio segreto esterno. Tra le numerose “sviste” imputate alla polizia giudiziaria che opera sotto la responsabilità dei pm napoletani vi è pure una la falsa attribuzione dell’affermazione “il generale Parente è stato nominato all’Aisi da Tiziano Renzi”, mentre la frase pronunciata è: “Che l’ha nominato Renzi”, inteso come Matteo, un fatto non sorprendente essendo costui il presidente del Consiglio all’epoca dei fatti. Eppure a catalizzare la spasmodica attenzione degli inquirenti è la figura del mitologico babbo, nato a Reggello nel 1951, padre di quattro figli e nonno di nove nipoti, venuto alla ribalta nazionale dopo una vita trascorsa placidamente nella tranquilla provincia fiorentina.
C’è un prima e un dopo nella vita di questo signore che si divide tra lavoro, politica locale rignanese, scout e coro in chiesa: quando il figlio Matteo approda da protagonista assoluto alla politica nazionale, tutto cambia. A Genova la procura lo indaga per bancarotta fraudolenta ma non si va neanche a processo: i pm chiedono l’archiviazione che viene disposta da un gip nel luglio 2016, a distanza di ventidue mesi. E’ la primissima esperienza con un tribunale, “un incubo kafkiano”, dirà lui. Se una vicenda si chiude, un’altra, ben più inquietante, si apre. E’ il colossale giallo del Consipgate dove, un bel giorno, spunta un ignoto Mister X, come lo ribattezzano i giornali. E’ l’Innominabile manzoniano che Tiziano avrebbe l’ardire di incontrare il 7 dicembre 2016 in un luogo segretissimo come l’aeroporto di Fiumicino. Tiziano è pedinato, i soliti carabinieri immortalano il suo viaggio in auto fino al fatidico appuntamento sul quale la stampa, tempestivamente informata, imbastisce fantasiose ricostruzioni. “Sono stato io a incontrare Tiziano Renzi all’aeroporto. Si è trattato di un colloquio di lavoro. L’aeroporto è stato scelto per comodità: viaggio spesso visto che la Fulmine group ha appalti anche fuori dalla Sicilia”. Alessandro Comparetto, direttore generale della società di poste private, svela l’identità di un abboccamento che non ha alcunché di misterioso. Tiziano, all’uscita dalla messa, si sfoga con i giornalisti: “Uno si incontra per lavoro a Fiumicino con un possibile fornitore e che esce fuori? L’incontro segreto! Subisco un assedio continuo, tutti i giorni. State violentando la mia vita privata. Ma io non sono nessuno, non sono mai entrato nemmeno in politica”. Lui no, il figlio sì, e sorge il sospetto che il cognome comune non sia un dettaglio minore.
"Dottoressa, lei, se vuole, ha una bomba in mano", le dicono. Il procuratore Lucia Musti riferisce al Csm, che indaga su Woodcock
La prima intercettazione politicamente imbarazzante, pubblicata in prima pagina dal Fatto quotidiano, riguarda una conversazione telefonica, priva di rilievo penale ma mediaticamente succulenta per il giudizio espresso su Enrico Letta (“incapace”), tra il segretario Pd Matteo Renzi e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi. Trasferito per competenza territoriale a Modena, il fascicolo su Cpl concordia viene recapitato privo di omissis. Una “fuga di notizie”, motivo ricorrente in queste vicende con genesi partenopea. Lo stesso Tiziano ne è protagonista, suo malgrado, quando vede violata sul medesimo quotidiano l’intimità di una delicata conversazione con il figlio alla vigilia del suo interrogatorio. Tiziano è indagato a Roma per traffico d’influenze, reato che non ammette captazione telefonica, eppure la procura di Napoli continua a intercettarlo in qualità di “terzo non indagato”. Secondo un copione ormai abusato, il brogliaccio contenente il dialogo penalmente irrilevante viene spiattellato dalla solita testata e dal solito giornalista. Per comprendere i contorni di questa autentica “caccia al babbo” è sufficiente compulsare i verbali delle audizioni a Palazzo de’ marescialli: non solo quella del procuratore Musti, ma anche le dichiarazioni del procuratore reggente di Napoli, Nunzio Fragliasso, e del procuratore generale Luigi Riello. “Tiziano Renzi – afferma Fragliasso – non è mai stato iscritto dalla procura di Napoli nel procedimento numero 6585/13 21 R.G., mentre è stato iscritto nel suddetto registro in data 21 dicembre 2016, con contestuale trasmissione degli atti per competenza alla procura di Roma, la posizione di Russo Carlo, iscritto per 346 bis del codice penale. Dico questo perché, è un dato oggettivo, le due posizioni vanno di pari passo, Tiziano Renzi e Russo Carlo”. L’uno viene iscritto, l’altro no. I fatti contestati sono i medesimi ma la procura partenopea compie scelte opposte.
Quel che è più sorprendente è che a “discolpare” Renzi senior sarebbe lo stesso pm Woodcock. Prosegue Fragliasso: “Loro (cioè i pm Woodcock e Carrano, ndr) sostanzialmente rispondono che si ritenne all’epoca che esistessero elementi sufficienti per poter attribuire, sia pure a livello di iscrizione, quel ruolo, cioè traffico di influenze illecite, a Russo Carlo. E che invece non vi fossero in quel momento altrettanti elementi a carico di Renzi Tiziano, motivato dal fatto che in realtà, sostengono loro, questo ruolo di mediatore trafficante risultava sempre comunque svolto in prima persona da Russo Carlo, sia nei rapporti con l’imprenditore Romeo che con l’amministratore delegato di Consip, Marroni”. Ma se Tiziano fosse stato formalmente indagato per traffico di influenze, art. 346 bis, non sarebbe stato possibile intercettarlo. “In una nota del 13 luglio scorso – aggiunge il procuratore generale Riello – i due sostituti procuratori, quindi sia il dottor Woodcock, sia la dottoressa Carrano, nel rispondere alla domanda che parte dalla procura generale della Cassazione, passa attraverso il mio ufficio e va girata a loro dal dottor Fragliasso, affermano di aver proceduto all’iscrizione di Carlo Russo e non di Tiziano Renzi, in base a una precisa scelta di carattere tecnico.
Essi affermano che il reato per il quale si procedeva nei confronti dell’uno e dell’altro è quello di traffico di influenza illecita di cui all’articolo 346 bis del codice penale. I due magistrati ricordano che questa figura criminosa ruota intorno alla figura di un mediatore, un soggetto mediatore trafficante, così lo definiscono. Mentre nei confronti del Russo era chiaro, perché egli risultava avere sempre svolto in questa vicenda tale ruolo in prima persona, Renzi Tiziano, leggo testualmente, veniva semplicemente evocato dal Russo che si recava da lui personalmente, tanto dal Romeo, quanto dal Marroni. Spiegano
Gli stessi pm napoletani evidenziano la "mancanza di elementi limpidi, tali da poter consentire una corretta qualificazione del fatto
l’iscrizione del Russo e la mancata iscrizione del Renzi Tiziano sulla base di una differente posizione indiziaria a carico dell’uno e dell’altro”. Insomma, nel caso di Renzi senior mancano persino gli indizi, a sostenerlo è lo stesso Woodcock. Come fa notare Riello, i due pm evidenziano la “mancanza di elementi limpidi, tali da poter consentire una corretta qualificazione del fatto” per ciò che concerne la posizione di Tiziano che non sarà mai iscritto nel registro notizie di reato dalla procura di Napoli.
Cionondimeno Tiziano Renzi sarà intercettato, su richiesta dei pm partenopei, con due successivi decreti, sottoscritti da un gip, risalenti al 17 novembre 2016 e al 28 febbraio 2017. Il secondo, per intenderci, prelude allo scoop del Fatto con la telefonata tra genitore e figlio. “Babbo, questo non è un gioco, ai magistrati devi dire la verità”: l’ex premier usa toni duri con il padre. All’indomani della pubblicazione illegittima, Matteo Renzi commenta: “Mi viene da pensare che tutto ciò accada per colpa mia, a causa del mio impegno in politica. Ho dubitato di mio padre, un’esperienza che non auguro a nessuno”.