Università per i ricchi

Luciano Capone

Niente più rette? Altro che Liberi e uguali, così Grasso fa il “Robin Hood al contrario”, dice A. Ichino

Roma. Abolire le tasse universitarie. E’ la proposta con cui il presidente del Senato Pietro Grasso ha aperto la sua campagna elettorale da leader di Liberi e uguali per “dare a tutti la possibilità di studiare”. Di questi temi Andrea Ichino, economista dell’Università di Bologna e dello European University Institute, si è occupato a lungo e in maniera dettagliata in un libro dal titolo “Facoltà di scelta”, scritto con l’economista Daniele Terlizzese. Professore, l’abolizione delle tasse universitarie è una proposta giusta o sbagliata? “E’ una proposta sbagliata sia sul piano dell’uguaglianza, una delle bandiere di Liberi e eguali, sia sul piano del miglioramento del capitale umano di cui il paese ha bisogno per crescere”, dice Ichino al Foglio. Non va in direzione della libertà e dell’uguaglianza? L’idea pare quella di estendere all’università gli stessi criteri della scuola dell’obbligo, ovvero il finanziamento del diritto allo studio attraverso la fiscalità generale, perché è sbagliato? “Alla scuola dell’obbligo vanno tutti e quindi finanziarla con la fiscalità generale progressiva implica un’auspicabile ed efficiente redistribuzione dai ricchi ai poveri. Nel caso dell’università, la probabilità che il povero si iscriva è molto più bassa dell’analoga probabilità di un ricco. Quindi, l’università gratis per tutti è un regalo ai ricchi: Robin Hood al contrario. La progressività della fiscalità generale non basterebbe a compensarlo. Se davvero l’uguaglianza interessa a Grasso, mi spieghi per quale motivo sia equo che i miei figli si possano laureare spendendo così poco”. La nuova formazione di sinistra pare essersi ispirata alle proposte della sinistra radicale di Bernie Sanders e Jeremy Corbyn, da cui è stato preso anche lo slogan, anche se le situazioni sono diverse. Le rette universitarie in America e nel Regno Unito sono molto più alte e il sistema è molto diverso da quello italiano. “Le tasse universitarie sono più alte negli Stati Uniti e sono state recentemente aumentate nel Regno Unito, proprio per consentire un miglioramento dell’offerta formativa. I tassi di iscrizione alle università italiane sono bassi perché la qualità di molti atenei è bassa. La laurea da noi è spesso solo un pezzo di carta che serve ai figli benestanti, anche se incapaci, per entrare negli studi professionali dei genitori, ma non offre un concreto strumento di ascensione sociale ai giovani meno abbienti, anche se sono dei geni. Non sorprende che questi ultimi preferiscono fare altro, e andare all’estero, anche se le tasse universitarie fossero azzerate. Quello che serve è aumentare il finanziamento alle università facendolo pagare soprattutto e esplicitamente a chi se lo può permettere, annullando i costi solo per i giovani dotati che partono da condizioni svantaggiate. E anche lasciare che siano le scelte degli studenti a punire le università che non si meritano un finanziamento”.

 

L’ex ministro del Tesoro Vincenzo Visco, uno degli esponenti di primo piano di LeU, pare aver ridimensionato la proposta di Grasso dicendo che “abolire le tasse universitarie è una metafora per dire che c’è diritto allo studio e borse di studio. D’altra parte da noi sono così basse che non è che abolendole succeda molto. E’ un segnale importante ma è chiaro che è un tema marginale”. Ha ragione Visco o Grasso? “Ha ragione Visco. Nel caso del Regno Unito, ad esempio, non esiste evidenza che il recente aumento delle tasse universitarie abbia indotto una riduzione delle iscrizioni e questo per tre motivi. Primo, l’aumento è stato accompagnato da una massiccia erogazione di borse di studio restituibili, tecnicamente, prestiti con restituzione condizionata al reddito futuro dello studente. Ossia, chi è meritevole riceve una borsa tale da poter finanziare in modo consistente l’ateneo preferito. La borsa dovrà essere ripagata solo se l’investimento avrà successo, ad esempio solo se lo studente diventerà un medico o un avvocato con redditi elevati. Secondo, le università grazie ai finanziamenti hanno migliorato la loro qualità, sapendo che li avrebbero persi se questo miglioramento non fosse avvenuto. Terzo, il vero costo degli studi universitari è il reddito perso mentre si studia, non le tasse universitarie. E questo costo è compensato, nel Regno Unito, dai redditi elevati ai quali si accede grazie a una istruzione universitaria di qualità”.

 

Dai dati Eurydice della Commissione europea però emerge che l’Italia è nella fascia medio-alta per il costo delle tasse universitarie. E inoltre ci sono tanti paesi dove il costo dell’università è zero o molto più basso che da noi, dalla Germania alla Francia, ma anche in altri paesi dell’Europa centrale, scandinavi e mediterranei. Perché lì sì e da noi no? “Anche negli altri paesi la demagogia e l’incompetenza imperversano purtroppo. Ma sono in molti, anche in quelle realtà, a ritenere che l’università gratis per tutti sia solo un regalo ai ricchi senza nessun vantaggio per i poveri e per il paese nel suo complesso”. In Italia c’è un’esenzione per i redditi bassi, ma circa il 90 per cento degli studenti paga le tasse e meno del 10 per cento riceve borse di studio per merito o necessità. Va bene così o c’è qualcosa che non va? “Il diritto allo studio va riformato in Italia, nella direzione delle borse restituibili prima descritte e utilizzate nel Regno Unito”. Il costo dell’operazione secondo Grasso sarebbe di circa 1,6 miliardi l’anno. Se un governo avesse a disposizione queste risorse, ci sarebbero cose più utili e necessarie da fare per l’università e per gli studenti? “L’università ha bisogno di essere finanziata, e in modo abbondante, ma non dalla fiscalità generale. Meglio dare agli studenti gli strumenti per spostarsi geograficamente e per finanziare solo le università che sanno rendere l’investimento vantaggioso”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali