Liberi e Disuguali
Perché Mattarella osserva con attenzione la partita di Grasso alle regionali
Roma. “Le fratture radicali sono due: l’alleanza con i 5 stelle e l’Europa sono divisioni potenzialmente scissionistiche. L’accordo nelle regionali fissa una linea e stabilisce un percorso antipopulista e utile al dialogo col Quirinale e con le aree Pd meno esacerbate”, dice al Foglio Peppino Caldarola, direttore della rivista ItalianiEuropei. Per capire che cos’è e che cosa potrebbe essere Liberi e uguali in futuro, bisogna guardare allo scontro interno al partito-movimento di Pietro Grasso sulle alleanze in Lombardia e nel Lazio.
Sono due le anime di LeU, come si capisce dalla discussione delle ultime ore: una non vuole avere nulla a che fare con il Pd di Matteo Renzi, e in Lombardia punta ad avere un candidato proprio (diverso il discorso con Nicola Zingaretti nel Lazio, dove c’è un dialogo in corso), l’altra invece ha scelto un profilo più istituzionale, in linea con l’idea del Colle di un possibile governo di larghe intese, sostenuto anche dai voti di LeU. Resta da capire però quale delle due anime abbia più presa su Grasso. Le divisioni che si vedono oggi sono quelle che ci saranno domani quando dovranno, forse, scegliere che fare in caso di una grande coalizione e di un eventuale appello di Mattarella. E a seconda delle decisioni finali sulle alleanze in Lombardia e Lazio capiremo quale parte prevarrà dentro LeU. Enrico Rossi, tra i fondatori di Mdp, dice che “con Gori in Lombardia è opportuno aprire un confronto sul programma, perché rispetto a Maroni non basta ‘Fare meglio’, come dice lo slogan di Gori, ma si deve cambiare idee e politiche.
Nel Lazio non sostenere Zingaretti, un uomo di sinistra, è un errore perché dobbiamo impedire che la regione passi a Gasparri”. Elisa Simoni, deputata di LeU, è d’accordo. “Sono uscita dal Pd – dice al Foglio – perché i voti persi dal Pd e presi da Liberi e uguali rimanessero nel campo del centrosinistra e continuassero a dare forza ai nostri valori nel prossimo Parlamento. L’ho fatto anche perché i governatori e sindaci di centrosinistra candidati alle prossime amministrative potessero essere vincenti contro il centrodestra e M5s. Per questo penso che dobbiamo sostenere senza esitazione Zingaretti e Gori facendo valere le istanze di sinistra nei loro programmi”. Questa è dunque la linea istituzionale, “mattarelliana”.
Anche l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani dice che sulle alleanze “ci stiamo lavorando, non abbiamo bisogno di appelli, lo sappiamo anche noi che l’unità sia meglio delle divisioni, è come dire ‘Viva la mamma’”. Solo che gli antirenziani non vogliono sentirne parlare. “Non ci sono margini per riaprire la discussione che è stata fatta in questi mesi e siamo pronti domani a eleggere un candidato presidente. Mi è stata chiesta la disponibilità, ho visto che c’è consenso sul mio nome e quindi domani dovrei essere nominato candidato”, dice all’Ansa Onorio Rosati, ex segretario della Camera del lavoro di Milano e consigliere regionale lombardo, il giorno prima dell’assemblea regionale di LeU per decidere chi candidare o se appoggiare Giorgio Gori. Dalla Cgil però – da Susanna Camusso sulle colonne di Repubblica ai vertici regionali – sono arrivati molti appelli all’unità. Fra le due alleanze, la più probabile è nel Lazio. In Lombardia appare difficile. Anche perché “in partenza i LeU lombardi di Rosati erano tra i più settari anti-Pd”, dice al Foglio un attento osservatore della politica lombarda. Non si capisce, almeno pubblicamente, quale sia l’indirizzo di Grasso, che demanda tutto alle due assemblee regionali di oggi ed è tirato per la giacchetta da chi spera in un futuro confronto con i Cinque stelle e chi invece vorrebbe restare nell’alveo delle forze responsabili. “Siamo un progetto politico plurale, è normale che ci siano posizioni diverse. Abbiamo concordato di ascoltare le indicazioni del territorio, ci saranno le assemblee sia in Lombardia che nel Lazio, poi prenderemo una decisione”.
“Se fosse per lui – ha detto Gori a “Radio Anch’io” su Radio 1 Rai – sarebbe un sì. Io credo che se l’alleanza è possibile nel Lazio allora lo è anche in Lombardia, dove da 23 anni governa il centrodestra”. Pippo Civati però non vorrebbe sentirne parlare; né nella sua regione, in Lombardia, né nel Lazio: mai con il Pd. Il no viene ribadito anche da Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana. “Gli appelli non bastano, il giudizio è di merito, politico”. Anche per lui è diverso il ragionamento su Zingaretti. Il confronto, nel Lazio, è aperto. Alla fine LeU potrebbe rivelarsi una fusione a freddo, anzi, come disse Massimo D’Alema nei confronti del Pd, un “amalgama mal riuscito”.